Il 2017 ha significato per l’Italia che il triste primato degli sgomberi forzati dei campi-rom ha cambiato capitale: da Roma si è passati a Napoli. Il 7 aprile 2017, simbolicamente alla vigilia della Giornata Internazionale dei Diritti dei rom, per 800 persone residenti da anni nelle baracche di via Brecce Sant’Erasmo, nel quartiere Gianturco, ha rappresentato la giornata del “trasferimento”. Un'imponente chiusura di uno dei più grandi insediamenti informali in Italia. Piano di “inclusione”? No. Ricollocazione di parte dei residenti in Via del Riposo, alle spalle del cimitero di Poggioreale, in un nuovo di zecca “Villaggio Attrezzato”. Nel 2014, nella stessa zona, esisteva un altro campo “abusivo” e non istituzionalizzato. Fu distrutto in un incendio. Ora è stato “attrezzato” per concentrare i rom sgomberati da Gianturco. Prima “attrezzatura” prevista, come da tradizione italiana, è la recinzione. Ma l’assessore per le politiche sociali Roberta Gaeta, ha rassicurato che la recinzione “è a tutela di chi vive in questo spazio, ho visto troppe volte atti discriminatori e di razzismo che non sono giustificabili e noi non possiamo mettere a rischio i bambini.” Aggiungendo che: “Anche io sono contro una soluzione di questo tipo, risponde a un'emergenza". E niente. Potremmo non aggiungere altro. Se non che, nei fatti, nonostante anni di analisi degli errori passati e di direttive europee, siamo di nuovo davanti ad un concentramento mono-etnico che raggruppa i suoi “ospiti” in condizioni che ne ledono i più basilari diritti. Degli 800 residenti a Gianturco, 28 nuclei familiari sono stati locati in Via Del Riposo. Altre 12 nella struttura “Grazia Deledda” e i restanti residenti, secondo il Comune di Napoli, hanno trovato “autonome sistemazioni, o sono rientrati nel paese di origine”. Il consigliere comunale Laura Bismuto, ha sostenuto che “la soluzione non è la migliore, l’accoglienza non è stata resa disponibile per tutti, anche se è apprezzabile lo sforzo dell’amministrazione, rispetto all'immobilità di prefettura e Regione. I container per quanto piccoli restituiscono dignità a bambini e famiglie rom. Ma non è possibile affrontare queste questioni in maniera emergenziale". Non è possibile? Sarà. Intanto l'assessora Gaeta ha rassicurato che "questo tipo di accoglienza durerà meno tempo, nella misura in cui riusciremo ad accompagnare all'autonomia le famiglie rom. Non si deve percepire però che ci sono trattamenti diversi per i rom, lo facciamo anche per le famiglie italiane in difficoltà". Per tutta la scrittura di questo aggiornamento abbiamo continuato a cercare assegnazioni di container , trasferimenti forzati, recinzioni e guardiani per le “famiglie italiane in difficolta”. Ma qualcosa di simile lo abbiamo trovato solo nelle zone terremotate. Giustamente. Sempre di emergenza si tratta.
Rapporto sullo stato dei diritti in Italia