Aggiornato al: 30/04/2019
Siamo, all’evidenza, in una situazione delicata e molto incerta. Da un lato i gay, avendo guadagnato “normalità” e visibilità si trovano più esposti ad atti e ritorsioni omofobici (violenze, discriminazioni, bullismo – specialmente negli anni dell’adolescenza e sui “luoghi” social), dall’altro il riconoscimento del loro “diritto ad amare” conseguente al diritto ad unirsi civilmente li ha rafforzati nella coscienza di se’ e nella visione pubblica.
Ma c’è chi lavora per negare questa “normalizzazione” e tornare a negare i diritti fondamentali. Operazione spericolata ma pericolosa. E’ accaduto così, per esempio, coi migranti. Potrebbe accadere anche con i gay e le lesbiche. Nessun diritto, neanche il più elementare, è sancito una volta e per sempre: è sempre da custodire e “riconquistare” giorno dopo giorno. Occorre vigilare e rintuzzare gli attacchi, puntando ancor più in alto: a conquistare nuovi diritti.
Quando è che un pregiudizio viene meno e si può dire che è superato? Probabilmente mai: si tratta di processi molto lunghi ed un pregiudizio, anche se infondato, ci mette generazioni a perdere il suo disvalore e la tentazione di risorgere è costante. In questi processi hanno un forte valore, nell’accelerare o nel rallentare, i momenti e le decisioni istituzionali (le leggi, le sentenze), ma certo, da soli, non bastano. Contano forse di più i comportamenti e le reazioni quotidiane del vivere comune.
Nel gennaio 2019 uno studente di un istituto superiore di Torino ha scritto su un muro della scuola: “IL PRESIDE E’ GAY”. Il preside (si ignora e non ha nessuna importanza se sia gay oppur no), invece di mandare subito la mattina dopo un imbianchino a cancellare la scritta, ha deciso di lasciarla ben in evidenza, lanciando e sottolineando così un doppio messaggio: da un lato che essere gay non ha nulla di infamante, dall’altro che il disvalore stava tutto nella testa di chi lanciava un giudizio che intendeva essere insultante ed invece era soltanto omofobo, vale a dire autoinsultante per chi aveva vergato la scritta. Perfetto rovesciamento di senso che sta ad attestare come, almeno in certi casi, il pregiudizio antigay vada diradandosi.
Siccome le buone pratiche, per fortuna, sono contagiose forse quanto le cattive, un mese dopo, nel febbraio ’19, questa volta in una scuola superiore di Brindisi, sono comparse scritte che additavano un ragazzo della terza classe come omosessuale. I compagni e i docenti, l’indomani, hanno inscenato una manifestazione, cui hanno chiamato a partecipare anche gli studenti delle altre scuole, la cui parola d’ordine era “Siamo tutti froci” e “Love is love”: reazione esemplare che ha rincuorato non poco il ragazzo, che senza vergogna è anche intervenuto per ringraziare.
Sono passati tre anni da quel maggio 2016 quando furono approvate le unioni civili; un po’ di più ci vorrà per fare tre anni dalla loro operatività. Non vi è dubbio che l’istituto non solo abbia dato e stia dando buona prova di se’, ma che stia contribuendo a far passare un messaggio di “normalizzazione” nei confronti dei gay e delle loro unioni, in buona sostanza dei loro diritti e del riconoscimento del loro “diritto all’amore”, per dirla con uno degli ultimi scritti di Stefano Rodotà, che proprio in questo spazio di tre anni ha lasciato noi e per noi un vuoto incolmabile. Più di 15.000 coppie ne hanno fino ad ora usufruito.
Sarà capitato a tutti di avere partecipato ad una cerimonia di unione civile in questi tre anni. A me è capitato l’estate scorsa di essere testimone di una unione civile fra due amici nel comune di Cinisello Balsamo in piena Brianza. Cerimonia molto sobria in un bel salone ottocentesco (lo sottolineo perché nella zona della bergamasca, a Stezzano, le unioni civili erano –e forse sono ancora – relegate in un sottoscala) celebrata dall’ufficiale di Stato Civile, il quale, per ben 4 volte nel suo breve discorso, si è riferito all’unione civile usando il termine “matrimonio”, in barba alle sottili distinzioni che gli estensori della legge avevano voluto porre, anche all’ultimo momento, quando si trattò di limare qua e là il testo perché fosse ben chiara la distinzione che correva tra il matrimonio e l’unione civile e, conseguentemente, la famiglia che si andava a costituire. Oggi, si dice comunemente che due gay o due lesbiche hanno mandato gli inviti per il loro “matrimonio” e “si sono sposati”, senza nessuna differenza. Il che sta a significare ed attesta che molti muri si stanno sfaldando.
Certo, manca ancora il riconoscimento normativo del diritto alla genitorialità (adottiva o “naturale”, sia pure con tecniche avanzate, oggi possibile per ogni coppia, sia essa eterosessuale, ma sterile, sia omosessuale), ma, come vedremo più sotto, gay e lesbiche questo diritto vanno conquistandoselo attraverso altre vie.
La persistenza di pregiudizi e azioni omofobiche
E’ ovvio dire che non tutto è rose e fiori e che la strada che ancora ci aspetta non è un viale alberato tutto in discesa. Anche in questi tre anni gli episodi di omofobia, di aggressione contro i gay sono stati numerosi. Mettiamo qui, mescolati e un po’ alla rinfusa fatti e avvenimenti che negli ultimi tre anni in Italia hanno evidenziato la permanenza di un pregiudizio omofobico o, viceversa, un suo sia pur limitato superamento.
Dicembre 2018, Torino – una dottoressa è condannata a € 1500 di multa per diffamazione nei confronti di due associazioni LGBT (Rete Lenford e Torino Pride) per dichiarazioni omofobe nei loro confronti; assolta invece per altre dichiarazioni ancor peggiori contro i gay in generale: esse costituirebbero libertà di espressione. Non c’è molto da gioire, evidentemente. C’è solo da rammaricarsi che certe “valutazioni” non siamo ricomprese e sanzionate dalla legge Mancino, come il movimento LGBT richiede da anni.
Novembre 2017 – Il contratto collettivo dei dipendenti statali, recependo il dettato della legge sulle unioni civili, concede il congedo matrimoniale anche per gli statali uniti civilmente.
Ottobre 2017, Torino – L’Università inaugura un corso di Storia dell’Omosessualità (peraltro, solo 18 ore).
Febbraio 2017, Torino –Muore uno dei due coniugi che per primi si unirono civilmente ed il parroco nega il funerale religioso, che viene invece celebrato dal delegato vescovile per la pastorale delle persone omosessuali. Il vescovo della diocesi prende le distanze.
Giugno 2018, Firenze – Il questore nega ad una poliziotta lesbica di partecipare in uniforme al meeting parigino dei poliziotti omosessuali. Il Viminale interviene e glielo consente, sia pure in orario extralavorativo. Viceversa il Questore di Torino aveva consentito già a due poliziotti gay di parteciparvi in uniforme e durante l’orario di lavoro.
Maggio 2017, Torino – Il Comune stabilisce un premio per i dirigenti nei cui uffici siano stati raggiunti obbiettivi antidiscriminatori LGBT.
Agosto 2018, Roma – Il cameriere di un ristorante consegna il conto a due avventori e sullo scontrino essi trovano la notazione “froci”. Giustamente offesi, se ne lamentano e rendono pubblico l’episodio ed ottengono il licenziamento del cameriere.
Gennaio 2019, Roma – Uno studio dentistico privato rifiuta una prestazione ad un sieropositivo. Di fronte alle proteste, la Ministra della Sanità Grillo stigmatizza e promette di intervenire.
Gennaio 2019, Milano - “Diminuisce il PIL e il fatturato, ma aumentano i gay”, strilla a tutta prima pagina il quotidiano “Libero”: il titolo, chiaramente dispregiativo, diventa una hit nei talk show televisivi e sui social. Inutile domandarsi come faccia Feltri ad elaborare simili statistiche!
Più in generale, per una puntuale rassegna degli episodi di aggressione o di discriminazione omofoba o transfobica si può guardare il sito, molto preciso e sempre informato del Gay Center di Roma (gaycenter.it). Questo sostiene che da quando ci sono le unioni civili sarebbero aumentate le aggressioni contro gay e lesbiche. Ma soprattutto, nei suoi annuali rapporti, esso pone l’accento su quei fatti che non fanno nemmeno notizia, perché chiusi nell’ambito familiare o nella stretta cerchia scolastica oppure perché si consumano sui social ed è difficile rinvenire di chi sia la responsabilità originaria.
Certo fa specie che il Tribunale dei Minori di Padova sia intervenuto per sottrarre un ragazzo alla madre perché stava crescendo troppo effeminato (febbraio 2017). Viceversa (febbraio 2018) a Roma un ragazzo ha trovato rifugio al Gay Center dai genitori che lo seviziavano (anche con ustioni) perché avevano scoperto che era gay. Ed ancora (ottobre ’18) lo speciale nucleo dei carabinieri, indirizzato dal Gay Center, ha liberato una ragazza lesbica tenuta sequestrata a Roma dai genitori.
Meritano una notazione particolare le dichiarazioni di Papa Bergoglio, che già nel 2016, di ritorno dall’Armenia, ebbe a dire che la Chiesa dovrebbe chiedere scusa ai gay per come li ha sempre offesi, quando invece andrebbero accompagnati pastoralmente e non discriminati. “Chi siamo noi per giudicarli?”, ebbe a dire. Nel maggio ’18, ricevendo un gay sudamericano a suo tempo abusato da un sacerdote, disse: “Dio ti ha creato così e ti ama come sei”. Posizioni, all’evidenza, ben lontane e ben più positive di quelle omofobe di Woitila e di Ratzinger e soprattutto lontane dai loro silenzi. Purtuttavia, ancora tornando da Panama nel gennaio 2019 anche Bergoglio ha ribadito che l’unico baluardo sociale è la famiglia formata da un uomo e una donna per unirsi stabilmente e procreare. E lo ha detto proprio mentre il neoeletto presidente del Brasile, il fascista Bolsonaro, ha annunciato che rimetterà in discussione il matrimonio fra persone dello stesso sesso. Del resto, fu questo papa ad incontrare, nel settembre 2015, l’impiegata statunitense che si era rifiutata di trascrivere un matrimonio gay. Fu Bergoglio, ricordiamolo, che quando era cardinale a Buenos Aires condusse una strenua battaglia senza esclusione di colpi contro il matrimonio per gay e lesbiche. Incertezze e ambiguità, dunque, sembrano caratterizzare ancora le posizioni della Chiesa “alta”; quando poi si scende ai vescovi ed ai parroci le cose peggiorano ancora.
Notizie e flash di segno opposto, quasi che il paese sia percorso da moti contrastanti: il riconoscimento delle unioni civili ha certo normalizzato la percezione dell’omosessualità, ma allo stesso tempo ha acuito il sentire (e l’agire) di chi non intende arrendersi ad un ordine in cui sia riconosciuto pieno diritto ai GLBT. Ultimi giapponesi che presto saranno costretti ad arrendersi? Ahimé, purtroppo non è così. Chi nega pieni diritti ai gay ha in mente una strategia che prevede forse persino la cancellazione delle unioni civili. Del resto, l’Italia non vive isolata e non può non essere sensibile anche a ciò che avviene all’estero, che non è sempre confortante. Nel mentre che la piccola e vicina Malta riconosce il matrimonio gay (luglio ‘17) e così pure nello stesso mese la Germania (grazie al passo avanti della Merkel, che lasciò libertà di voto sulla questione), un anno dopo in Romania si tenne un referendum contro le nozze gay, preparato da una serie di sentenze della Corte Costituzionale, che non ebbe alcun esito poiché non fu raggiunto il quorum dei votanti. Di Bolsonero in Brasile e del suo pronunciarsi contro le unioni gay nel discorso di insediamento abbiamo già detto. Aggiungiamo il caso di una piccola isola caraibica, sotto protettorato del Regno Unito, che ha cancellato il matrimonio gay e le autorità inglesi, che pure statutariamente potevano fermare la legge negatoria, non lo fecero.
Tutte queste ambiguità e incertezze trovano un ampio spazio di collocazione nel nuovo sentire che serpeggia nel paese da quando si è insediato il governo di destra. Il governo Salvini (perché è lui che detta l’agenda ed il clima) si caratterizza per la negazione dei diritti, anche i più elementari universalmente riconosciuti. Migranti respinti in alto mare o rimandati a casa con voli speciali; immobili da tempo immemorabile utilizzati da occupanti e restituiti alla proprietà; sgomberi di campi di accoglienza e tabula rasa di esperienze positive in questo settore. In questo clima è facile che possano collocarsi anche iniziative volte a disconoscere i diritti faticosamente (e non ancora compiutamente) conquistati dai gay.
L’attacco più insidioso.
Tipico di questo clima è l’attacco che l’intera destra (con a capo settori cattolici e il ministro leghista per la famiglia, Farina) sta conducendo sui media, sia sui social che in TV, partendo dal presupposto che si ha il diritto di sostenere che ai gay debbano essere negati diritti e riconoscimenti. E’ un argomento non nuovo, da anni portato avanti dal quotidiano “Avvenire” e dalla sua ineffabile editorialista Lucietta Scaraffia: saremmo, in Italia, sotto la dittatura del pensiero gay friendly che vieta a chiunque di pronunciarsi contro i diritti dei gay (specialmente in materia di filiazione, proprio laddove cioè per legge nessun diritto è riconosciuto ai gay). Così si rovesciano le carte sul tavolo: non sono i gay a doversi lamentare dei diritti non ancora riconosciuti, ma sarebbero le voci antigay ad essere conculcate e ad avere bisogno di spazio e riscatto. Argomentando così, si giunge a sostenere a spada tratta che le associazioni gay non debbono entrare nelle scuole per condurre una lotta antiomofobica o anche solo per agevolare una crescita psicologicamente equilibrata dei ragazzi e dei giovanissimi: terreno sensibilissimo e fondamentale. Proprio questo sembra il fronte più aperto e sensibile su cui si trova a combattere chi, gay o no, ritiene che i giovani debbano crescere senza pregiudizi col principio che tutte le persone debbono avere riconosciuti pari diritti e pari dignità.
Questa offensiva omofobica arriverà a rimettere in discussione la legge sulle unioni civili? Difficile dirlo. Alcuni gruppi certo mirano a questo, ma, d’altro canto, è ben vero che la legge sulle unioni civili ha dato buona prova di se’ in questi anni e, se è vero che vi era una maggioranza parlamentare favorevole quando essa fu promulgata ed oggi forse questa non c’è, è pur vero che invece oggi tale maggioranza dovrebbe essersi rafforzata a livello sociale e dunque una pura e semplice abrogazione sembra improbabile. D’alto canto, un’integrazione positiva alla legge così da prevedere anche la genitorialità (adozione, stepchild adoption, riconoscimento di ambedue i genitori dello stesso sesso per il figlio geneticamente connesso con uno solo dei due e altro), sembra quanto mai improbabile.
Come era facilmente prevedibile, sta emergendo con forza e chiarezza il problema dei “diritto ai figli”, sia quelli già esistenti che quelli da concepire e mettere al mondo. Fortunatamente, proprio attorno al tema dell’omogenitorialità si sono fatti passi da gigante in questi anni per via giurisprudenziale, e conseguentemente anche con adeguamenti o addirittura iniziative amministrative da parte di alcuni comuni.
Dobbiamo qui riconoscere che il merito di questo “balzo in avanti” è dovuto soprattutto ai legali e ai giuristi di Rete Lenford, che in questi anni si sono battuti con tenacia e intelligenza su questo fronte.
La questione della genitorialità non era stata nemmeno affrontata dalla L.76/16 (all’ultimo momento, pur di far passare la legge, il Governo aveva posto la fiducia togliendo la dibattuta previsione della stepchild adoption), come se le coppie unite civilmente non volessero e non potessero avere figli, laddove invece la spinta a procreare e divenire genitori è ben presente anche nelle coppie dello stesso sesso ed è possibile avere figli propri persino per le coppie maschili tramite la GPA.
Il tema dell’omogenitorialità si articola in molti modi:
In buona sostanza, si tratta del fatto che all’interno di una famiglia omogenitoriale i figli, adottivi o ottenuti con pratiche medicalmente assistite, possano essere riconosciuti come figli di ambedue i partner della coppia, maschile o femminile che essa sia.
Siccome le coppie dello stesso sesso sempre più intendono avere figli e di fatto li hanno, anche se la legge sulle unioni civili non è venuta in alcun modo incontro a questa loro esigenza, era fatale che la giurisprudenza si aprisse a queste nuove richieste, nel presupposto, già affermato da tempo, che l’orientamento omosessuale dei genitori di per se’ non ha alcuna influenza negativa sul minore e bisogna invece indagare se il comportamento concreto di tale genitore sia o meno pregiudizievole per il minore stesso.
La magistratura italiana ha fatto fare passi da gigante al riconoscimento della genitorialità delle coppie omosessuali ancor prima della L.76/16. Una mano l’hanno data anche alcune pronunce della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. A cavallo fra febbraio e marzo 2016 sono usciti ben tre provvedimenti rilevanti in materia di genitori omosessuali, anche se in due fattispecie tra loro distinte. Il primo: un’ordinanza del 23 febbraio 2017 della Corte d’Appello di Trento; gli altri: due decreti dell’8 marzo 2017 del Tribunale per i minorenni di Firenze.
L’ordinanza di Trento ha definito un giudizio di quella che un tempo si chiamava “delibazione” di una sentenza straniera, instaurato ai sensi dell’art. 67 L. n. 218/1995. Una gestazione per altri realizzata in Canada da una coppia di uomini, un certificato di nascita che riportava il solo nome del padre biologico dei due neonati regolarmente trascritti nello stato civile italiano, una successiva sentenza che riconosceva il ruolo genitoriale svolto dall’altro padre e modificava di conseguenza i precedenti certificati di nascita. I due padri chiedevano alla competente Corte d’Appello di riconoscere anche nel nostro ordinamento gli effetti giuridici della sentenza straniera, disponendone la trascrizione nei registri del nostro Stato Civile e la conseguente modifica dei certificati di nascita dei due minori, indicando entrambi i padri come genitori a tutti gli effetti. La Corte territoriale accolse il ricorso non ritenendo contrario all’ordine pubblico il riconoscimento anche in Italia del ruolo genitoriale a entrambi i padri dei due minori, cittadini italiani e canadesi (jure soli), già avvenuto in Canada con sentenza. Perno della decisione: da un lato il diritto dei minori a mantenere lo status filiationis riconosciuto in Canada e garantito in primis dall’art. 33 della L. n. 218/1995 a tutela del loro preminente interesse; dall’altro l’inesistenza nel nostro ordinamento di principi di pari rango costituzionale che giustifichino la retrocessione dei diritti dei minori.
I due successivi decreti di Firenze, hanno regolato invece due ipotesi del tutto diverse di adozione piena pronunciata all’estero di minori in stato di abbandono, a favore di due coppie di cittadini italiani residenti all’estero da più di due anni, secondo quanto consente il 4° comma dell’art. 36 L. n. 184/1983.
In entrambi i casi si trattava di una coppia di padri che non avevano nessun legame biologico con i bambini che in seguito alla sentenza emessa dalle autorità competenti – una nel Regno Unito, l’altra negli Stati Uniti – erano diventati a tutti gli effetti figli di entrambi.
Le sentenze di adozione erano perfettamente valide ed efficaci nei rispettivi paesi di residenza dei cittadini italiani, si voleva però che potessero produrre i loro effetti anche in Italia. In particolare che, con la trascrizione nei registri dello Stato civile, fosse consentito ai bambini di essere riconosciuti come figli dei loro due padri e come tali potessero acquistare la cittadinanza italiana, potessero acquisire tutti i vincoli parentali (rispetto ai nonni, agli zii, ai cugini) ed entrare a pieno titolo nel loro asse ereditario.
Finora tale riconoscimento era stato sempre negato perché all’adozione mancava il requisito del vincolo di coniugio dei genitori adottivi previsto per legge. Gli stessi principi di diritto posti a base dell’ordinanza di Trento: la non contrarietà all’ordine pubblico, la tutela del preminente interesse del minore unita al rispetto dei principi stabiliti dalla Convenzione dell’Aja del 1993, sostenuti dalla difesa dei ricorrenti, sono stati i punti cardine per l’accoglimento della domanda di trascrizione della sentenza di adozione.
Erano però uscite poco dopo due sentenze negative del Tribunale dei Minori di Milano nell’ottobre 2016 che negavano l’adozione in casi particolari ad una coppia omo e a una etero (per par condicio), nonostante la sentenza della Cassazione n. 12962/2016 dicesse che la lett. d) dell’art. 44 della Legge sulle adozioni era perfettamente applicabile. Nel febbraio 2017 la Corte d’Appello milanese ha riformato sul punto le due sentenze di primo grado richiamandosi appunto al dettato della Cassazione.
A giugno del 2017 la Cassazione (n. 15202/2017) si è pronunciata anche per l’inammissibilità di un ricorso presentato dal PG della Corte d’Appello di Torino per omessa notifica alle parti interessate (!). Il Tribunale dei Minori del capoluogo piemontese aveva respinto una richiesta di adozione (sempre ex art. 44 lett. d) e la Corte d’Appello aveva riformato la prima pronuncia accogliendo la richiesta originaria; il PG aveva fatto ricorso in Cassazione, ma, appunto, il ricorso non era stato notificato . L’adozione è così passata in giudicato.
Un’altra ordinanza della Corte d’Appello di Milano (la n. 609/2017) ha riconosciuto (sullo schema del vecchio istituto della delibazione) in Italia un’adozione piena in favore di una coppia di padri (uno dei quali italoamericano) di un bambino americano (in stato di abbandono, non figlio di uno dei due padri).
Su un caso del tutto identico si è positivamente pronunciata la Corte d’Appello di Genova per due giovani padri (uno francese e l’altro italo-brasiliano) che hanno adottato in Brasile due bambini brasiliani.
La Cassazione (sent. n.14878/2017), infine, ha ordinato la trascrizione di un certificato di nascita straniero con due madri (madri e bambini tutti italiani, ma il bambino era nato nel Regno Unito). A suo tempo era stato chiesto e trascritto un certificato con la sola madre biologica; poi era stato ottenuto l’emendamento di quello inglese con una sola madre in uno con due madri; infine era stata richiesta la trascrizione di quest’ultimo in Italia. Il Tribunale e la Corte d’Appello di Venezia avevano respinto la richiesta; il giudice di legittimità ha ribaltato le sentenze di merito, nel presupposto che non vi fosse alcun motivo ostativo di ordine pubblico, mentre il bene superiore del minore lo esigesse.
Dopo tali interventi, si sono succedute molteplici pronunce in casi abbastanza variegati, ma tutte volte a far sì che anche il secondo partner dell’unione (rispetto a quello geneticamente connesso o originariamente adottante) venisse riconosciuto anch’esso come padre o come madre. Tale successione di pronunce ha fatto sì che alcuni comuni (quello di Milano in primis, ma poi anche altri come Torino) riconoscessero e trascrivessero il figlio di uno dei due anche all’altro in seno alla coppia omogenitoriale senza alcun ricorso all’Autorità Giudiziaria. La questione è finita nuovamente dinnanzi alla Cassazione la quale ha riscontrato alcune presunte incertezze nelle pronunce precedenti ed ha rimesso la questione innanzi alle Sezioni Unite. Era previsto che queste si pronunciassero in autunno o al massimo entro il Natale 2018, invece così non è stato e la questione è tuttora pendente.