di Domenico Massano
Il 21 marzo 2017, nella sala della Regina della camera dei deputati è stata presentata la relazione al parlamento del Garante delle persone detenute o private della libertà.
Il Garante Nazionale “è un’Autorità collegiale indipendente di garanzia dei diritti delle persone private della libertà. […] Istituito con un decreto legge alla fine del 2013, diventa operativo solo a marzo del 2016, dopo la nomina del Collegio da parte del Presidente della Repubblica e la costituzione dell’Ufficio.” L’attuale Collegio è composto da Mauro Palma (Presidente), Daniela De Robert ed Emilia Rossi. L’attività del Garante riguarda anche il tema della privazione della libertà in ambito sanitario, poiché la sua azione è rivolta “non solo ai luoghi che ospitano persone sottoposte a effettiva privazione della libertà, seppure per brevi periodi, ma altresì alle strutture residenziali (social health care) che ospitano persone che volontariamente hanno scelto di farsi curare o assistere quotidianamente da una struttura pubblica o privata e la cui volontà è andata ad affievolirsi, per una molteplicità di situazioni contingenti, fino a configurarsi, di fatto, come forma di privazione della libertà.
Il tema acquista un rilievo etico particolare per due ragioni: la prima perché le persone presenti nelle strutture residenziali sono in genere persone ad alta vulnerabilità (anziani o i disabili), a elevato rischio di essere soggette all’uso improprio di pratiche coercitive o all’incuria del personale; la seconda ragione è per la responsabilità dello Stato sulla tutela dei diritti di queste persone.”
L’art. 8 del “Codice di autoregolamentazione del Garante”, non affida a un’Unità Organizzativa, bensì al Collegio quest’attività specifica: “L’analisi delle strutture di ricovero per disabili, per soggetti vulnerabili e, in generale, per persone ricoverate e private della capacità legale o con capacità legale attenuata, nonché dei trattamenti sanitari obbligatori è temporaneamente affidata al Collegio”. In particolare il Capitolo 6 del Rapporto al Parlamento (“Libertà e salute”), tratta diffusamente il tema della privazione della libertà per le persone con disabilità, riferendosi in particolare alla Convenzione ONU, e impegnando il Collegio a sviluppare “pienamente” tale ambito nel corso del nuovo anno. Le linee di azione, i primi passi compiuti e i problemi aperti sono descritti nei punti 84-88:
• 84. Il trattamento sanitario obbligatorio Si evidenzia in particolare come “Una delle criticità dell’analisi del funzionamento dei TSO è l’impossibilità di avere dati statistici chiari […]Per il Garante Nazionale risolvere preliminarmente tale problema è di grande importanza al fine di poter monitorare la tutela e il rispetto della dignità e prevenire, qualora ci fossero, situazioni a rischio di ledere l’integrità fisica e psichica della persona”.
• 85. Le prime mosse del Garante Nazionale in quest’area Il punto si apre con un breve excursus storico in cui si riconosce il valore culturale e politico dell’esperienza e dell’elaborazione teorica "basagliane": “In Italia dopo la riforma ispirata dall’opera di Franco Basaglia il dibattito sulla malattia mentale, sui luoghi di ricovero e sulle forme coercitive subisce una svolta verso il riconoscimento dei diritti della persona malata e l’incremento di misure che ne favoriscano il rapporto, quantunque supervisionato, con la realtà quotidiana al di là di grate e barriere.” In seguito si fa riferimento all’avvio del dialogo con alcuni interlocutori istituzionali, il cui obiettivo è “la costituzione di tavoli di confronto per l’avvio di politiche sociali e sanitarie basate su una strategia comune di prevenzione degli abusi e delle violazioni dei diritti fondamentali, per l’individuazione di una rete locale che realizzi una mappatura delle strutture residenziali, per il consolidamento e la disseminazione di buone prassi.”
• 86. Standard per il trattamento involontario Nella trattazione dell’argomento, pare importante il riconoscimento del valore trasversale e centrale della Convenzione ONU in tale materia: “I criteri di un’azione di monitoraggio del trattamento devono essere ricavati dalla Convention on the Rights of Persons with Disabilities (UN -CRPD) del 3 maggio 2008. La Convenzione riconosce il diritto delle persone sofferenti per disabilità (di ogni tipo) a una posizione nella società uguale a quella di ogni altro individuo e ribadisce il loro essere soggetti portatori di diritti e non oggetto di attenzione assistenziale. La Convenzione modifica radicalmente i criteri con i quali devono essere garantiti i diritti dei portatori di disabilità: su di essi non devono gravare gli oneri di un inserimento nella vita sociale; al contrario la responsabilità del trattamento eguale e della garanzia dei diritti deve gravare sulla società e sulle «Istituzioni chiamate a rispondere a specifici bisogni delle persone sofferenti» (Agenzia europea per i diritti fondamentali FRA, The right to political participation of persons with mental health problems and persons with intellectual disabilities, 2013)
• 87. Avviare il monitoraggio di situazioni residenziali restrittive della libertà Dopo aver evidenziato le mutate condizioni della società attuale rispetto al passato e rilevato l’indebolirsi dei legami familiari al cui interno, sovente, si risolveva la cura delle persone, si specifica come il focus d’attenzione dell’attività del garante debba situarsi “all’interno delle strutture residenziali per anziani per monitorare e garantire la tutela di diritti fondamentali che, oltre a quelli ‘classici’ oggetto di controllo e tutela in tutte le strutture privative della libertà, comprendono anche, per queste specifiche strutture, il mantenimento dell’autonomia, l’informazione circa ogni trattamento sanitario a cui si è sottoposti, la possibilità di accedere e disporre delle proprie risorse finanziarie secondo le esigenze personali.”
• 88. La disabilità e lo schema legislativo internazionale Il punto si sofferma diffusamente sul ruolo e valore della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità e sull’impatto socio-culturale della stessa: “Storicamente le criticità legate alla disabilità sono state trattate in termini di riabilitazione e di erogazione di servizi assistenziali. Oggi finalmente, quale risultato degli sviluppi culturali e normativi, si riconoscono, almeno formalmente, pari opportunità in termini di garanzie per l’esercizio dei diritti, politici, civili, economici, sociali e culturali sulla base di uguaglianza con le persone senza disabilità. Un paradigma importante che ha cambiato il panorama internazionale è rappresentato dalla Convenzione Internazionale sui diritti delle persone con disabilità adottata dalle Nazioni Unite il 13 dicembre 2006 e firmata da 146 Paesi. La Convenzione ha fornito un nuovo standard internazionale, giuridico e culturale, non attraverso l’introduzione di nuove categorie di diritti per le persone con disabilità, ma attraverso la loro ridefinizione nel quadro dei diritti umani fondamentali (si veda UN Enable- Overview of International Legal Frameworks for Disability Legislation).