Rom Sinti Caminanti

Scritto da: Ulderico Daniele - Antonio Ardolino

Aggiornato al: 30/04/2019

Il punto della situazione

Per i rom e i sinti italiani, di cittadinanza o di fatto, il 2018 non potrà che essere ricordato soprattutto per il loro coinvolgimento strumentale, l’ennesimo, nel dibattito politico nazionale. Prima e dopo le elezioni per la XVIII legislatura, infatti, gli argomenti e i toni hanno evidenziato l’atteggiamento discriminatorio che molti esponenti politici hanno nei confronti della minoranza rom e sinta italiana. Il più grave di tutti è stato quello avuto dal leader della Lega Matteo Salvini, solo pochi giorni dopo la sua nomina a Ministro degli Interni. Partecipando ad una trasmissione televisiva locale ha annunciato che si stava “facendo preparare un dossier sulla situazione rom in Italia” aggiungendo “vedremo come si può intervenire rifacendo quello che all’epoca fu chiamato censimento.” e chiudendo con “Sfortunatamente quelli di nazionalità italiana dobbiamo tenerceli in casa”. Un frase del genere è particolarmente significativa perché esplicita due tra i principali aspetti della così detta questione rom. Da una parte evidenzia quanto la minoranza rom e sinta non sia considerata parte del Paese, quale invece è, ma un problema, una questione da affrontare “urgentemente”, e questo indipendentemente dal proprio status sociale ma come una sorta di gruppo sociale a se. Dall’altra richiama la questione, tutta di responsabilità dello Stato stesso, dei tanti arrivati durante lo sfaldamento della Jugoslavia e che ancora oggi aspettano una regolarizzazione. Ma la frase del Ministro degli Interni riporta anche in ballo il problema della mancanza di una legge penale efficace che combatta i discorsi di incitamento all'odio e il crimine di odio in generale. Oggi questo rappresenta un vero e proprio vuoto giuridico, dal momento che siamo formalmente fermi ancora alle disposizioni previste dalla legge n. 205/1993 (e cioè la Legge Mancino) per le quali possono essere puniti soltanto i reati di incitamento all'odio razziale e alla propaganda di idee basate sulla superiorità e l'odio razziale. Non esistono dunque mezzi di difesa che siano fuori dal codice penale per affrontare e scoraggiare atteggiamenti di incitamento all’odio e alla discriminazione, con effetti palesi e pericolosi. Per migliaia di rom italiani, di antica o recente immigrazione, vuol dire continuare a subire, senza avere strumenti adeguati per difendersi, quella che ormai può essere considerata una forma di discriminazione a sé chiamata “antiziganismo”. Eppure in Italia, stando alle stime ufficiali fornite dalla Comunità Europea, risiedono tra le 110.000 e le 180.000 persone di origine rom, cifra che rappresenta circa lo 0,23-0,25% della popolazione totale. Di questi, solamente un quinto vive in condizione di precarietà abitativa. Eppure l’alto livello di pregiudizio, i numerosi casi di discriminazione e soprattutto le politiche locali e nazionali che continuano a progettare e costruire “campi nomadi” contribuiscono a perpetrare una stato di discriminazione permanente nei confronti di tutta la minoranza. Per affrontare questa situazione il governo italiano approvò nel 2012 la Strategia Nazionale per l'Inclusione dei Rom, Sinti e Caminanti spingendo verso una rottura con il passato, abbandonando il concetto di nomadismo e adottando un approccio più ampio per promuovere politiche di inclusione. Ma facendo un bilancio, quasi sette anni dopo la sua approvazione, i governi che si sono succeduti non hanno attuato alcun programma specifico nazionale e di conseguenza gli enti locali non hanno raggiunto risultati efficaci rispetto a quelli auspicati. Ad esempio, nei propositi della Strategia, l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (UNAR) avrebbe dovuto avere un ruolo di coordinamento, che nei fatti però non ha avuto, evidentemente condizionato dalla sua poca indipendenza dai governi in carica, indipendenza che invece dovrebbe essere il presupposto per l’efficacia di un ufficio come quello. La conseguenza inevitabile, quindi, è stata l’aver lasciato tutto alla discrezione delle istituzioni locali. Altro bilancio molto negativo è quello che riguarda il ruolo che avrebbero dovuto avere le Regioni: in 6 anni solo 11 Regioni su 20 hanno istituito i tavoli di pianificazione e coordinamento previsti dalla Strategia e di queste 11 solo la Regione Emilia Romagna ha poi promosso e approva to una legge regionale volta alla chiusura dei “campi nomadi” comunali e a promuovere azioni di inclusione dei residenti. In sostanza, al di là di sparuti casi locali, sul piano nazionale nel 2018 la situazione dei rom in Italia non è cambiata di una sola virgola anzi, inserita nel quadro politico generale, pare addirittura complessivamente peggiorata.


Condanna all’esclusione, cause e conseguenze

Tornando alla frase del Ministro dell’Interno, il richiamo all’ennesimo “censimento” ci porta ad analizzare una delle questioni più drammatiche, quella dell’invisibilità giuridica di molti degli immigrati dall’ex Jugoslavia, e soprattutto dei loro figli e nipoti. Già nel 2011 il rapporto della Commissione per i diritti umani del Senato Italiano stimava che in Italia vivono circa 15.000 minori rom apolidi o a rischio di apolidia. Ad oggi non ci sono dati aggiornati, ma stiamo parlando comunque di migliaia di figli di persone che soggiornano nel nostro Paese da decenni, in molti casi dalla nascita, e che risultano prive di un titolo di soggiorno.(1) Si tratta di famiglie a volte arrivate in Italia già tra gli anni ’60 e ’80, e invece per la maggioranza fuggite dalla guerra in Jugoslavia dopo il suo sfaldamento politico. Migliaia di minori, quindi, nati in Italia e con famiglie che vivono nel nostro Paese da diverse generazioni, ma ufficialmente non cittadini italiani, spesso senza neanche un titolo di soggiorno né tanto meno un documento di identità, spesso apolidi di fatto. Eppure la Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza del 1989, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge n. 176/91, sancisce all’articolo 7 il diritto ad acquisire un’identità e una cittadinanza. Ma allora com’è possibile che in Italia ci siano così tanti minori rom privi di alcun documento ad eccezione del certificato di nascita? C’è prima di tutto una difficoltà insita nelle stesse procedure per l’ottenimento della cittadinanza italiana. Nonostante il grande dibattito e le proposte di legge attualmente in discussione, il fulcro per l’ottenimento della cittadinanza italiana rimane la legge numero 91 del 1992, fondata sul principio dello ius sanguinis, i bambini nati in Italia da genitori entrambi privi della cittadinanza italiana non acquistano tale cittadinanza alla nascita, a meno che i genitori siano stati formalmente riconosciuti come apolidi. Va specificato che le disposizioni introdotte dal d.l. 69/2913 hanno facilitato la dimostrazione dei requisiti richiesti dall’art. 4, co. 2, legge 91/92, ma sussistono ancora delle prassi restrittive, che di fatto negano l’acquisizione della cittadinanza ai giovani che ne avrebbero il diritto. Una volta raggiunta la maggiore età devono presentare, al massimo entro il compimento del diciannove simo anno di età, una dichiarazione di volontà al Comune di residenza legale e dimostrare la residenza stessa sul territorio italiano dalla nascita fino al momento della presentazione della domanda, senza interruzioni. Ed è proprio questo il punto che ha creato esclusione, data l’impossibilità, spesso e volentieri, di dimostrare la residenza senza interruzioni da parte di famiglie che hanno girato città e campi, spesso a volentieri a causa delle stesse politiche locali che avrebbero dovuto lavorare in senso opposto. Inoltre, molti minori rom con genitori o nonni provenienti dai Paesi che facevano parte della Jugoslavia, hanno l’enorme problema che i loro genitori non hanno neanche la cittadinanza dello Stato d’origine, dato che al momento della loro immigrazione in Italia gli attuali stati balcanici non si erano ancora costituiti. In alcuni casi i genitori non possono provare il legame con nessuno degli Stati contemporanei perché non registrati alla nascita o perché i registri anagrafici sono stati distrutti durante la guerra. La conseguenza più grave è che molti di loro, non riuscendo a fornire la documentazione necessaria, non possono essere riconosciuti come apolidi e il Ministero dell’Interno rigetta così gran parte delle domande. Questa condizione si trasmette di conseguenza ai loro figli, che rimangono privi di documenti e senza uno status.(2)

Le conseguenze più gravi di questo limbo giuridico sono quelle dal punto di vista pratico: esclusione in ambito sanitario, perché in molte Regioni italiane i figli di cittadini stranieri privi di permesso di soggiorno non possono iscriversi al Servizio Sanitario Regionale e quindi non possono accedere alla scelta del pediatra, riuscendo ad ottenere solo le cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti ed essenziali; grandi difficoltà nel campo dell’istruzione, perché i ragazzi privi di documenti difficilmente riescono a iscriversi presso le scuole secondarie superiori o a frequentare corsi professionalizzanti, spesso non concludono il ciclo scolastico e in genere hanno anche problemi ad accedere alla scuola dell’infanzia e al nido; esclusione dalle misure di assistenza sociale, che viene loro preclusa per via della mancanza di documenti; impossibilità di essere assunti regolarmente e di svolgere un lavoro autonomo; impossibilità di avere un contratto d’affitto, una patente di guida. In poche parole la mancanza di documenti impedisce loro qualsiasi scelta autonoma e preclude la costruzione di un percorso di vita all’interno della società, inoltre una volta raggiunta la maggiore età, il giovane diventa a tutti gli effetti un irregolare e può essere espulso dal Paese. Oggi questa invisibilità giuridica è arrivata, in alcuni casi, alla quarta generazione.

Eppure esistono una serie di raccomandazioni internazionali e di impegni del Governo. Il problema dello status giuridico dei rom è stato più volte motivo di richiamo nei confronti dell’Italia da parte delle istituzioni internazionali negli ultimi anni. In numerosi casi il Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, l’ECRI, e il Comitato per le Nazioni Unite sui diritti del fanciullo hanno invitato le istituzioni italiane ad intervenire in modo da porre fine alle gravi violazioni dei diritti umani che derivano da questo status. In particolare, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) ha invitato l’Italia a rispettare gli obblighi internazionali assunti in materia di protezione degli apolidi. Nel 2011, la Commissione per i diritti umani del Senato italiano ha evidenziato con forza la necessità di affrontare tali problemi e nel 2012 il Governo italiano si è impegnato, con i varo della Strategia che tante volte abbiamo citato, per la risoluzione del problema dello status giuridico dei rom provenienti dall’ex Jugoslavia. Apolidia e irregolarità del soggiorno erano finalmente stati riconosciuti come alcuni degli ostacoli principali all’inclusione sociale dei rom provenienti dall’ex Jugoslavia. Nel 2013 viene formato un Tavolo di lavoro specifico, formato dal Ministero dell’Interno, Ministero della Giustizia, Ministero degli Affari Esteri, Ministero per la Cooperazione Internazionale e l’Integrazione, UNAR e UNHCR e coordinato dal Ministero dell’Interno. Vi furono diversi incontri, anche con associazioni rappresentanti di associazioni formate da persone di origine rom, che però si sono interrotti in seguito al cambio di Governo e sono ripresi solo all’inizio del 2015. In occasione del 60° anniversario della Convenzione relativa allo status degli apolidi del 1954, promosso dalla Commissione per i diritti umani del Senato, da UNHCR e dal CIR, sono stati assunti importanti impegni per garantire la protezione degli apolidi e la riduzione dell’apolidia. Proprio per attuare tali impegni alla fine del 2014 viene approvato dal Governo e presentato alla Camera, il disegno di legge per l’adesione dell’Italia alla Convenzione sulla riduzione dell’apolidia del 1961. Da un punto di vista amministrativo e legislativo, dunque, ci sono tutte le condizioni per intervenire, senza proclami ne’ interventi di emergenza.(3)

La crescita dell’antiziganismo

Tornando all’antiziganismo, è ormai un fenomeno in continuo aumento, anche nel 2018, in particolare sul web e sui social network, dove risulta difficile da arginare.(4)

In generale negli ultimi anni c’è stata una sorta di diversificazione e soprattutto una moltiplicazione degli strumenti di diffusione: sono gli attori politici locali, i siti web di notizie locali, i blog, i gruppi di Facebook e persino le pagine private sui social network a contribuire al discorso anti-rom che si propaga anche a causa di una carenza dei mezzi di reazione: pochi conoscono l’esistenza di organismi come UNAR o OSCAD (Osservatorio per la Sicurezza Contro gli Atti di Discriminazione) e l’intervento, qualora ci sia, è lento e costoso dal punto di vista legale. Tutto questo scoraggia fin dall’inizio la possibilità di intervenire a partire dalla segnalazione stessa. Inoltre il personale che dovrebbe essere formato per intervenire in casi del genere, come le forze dell’ordine, ha una formazione molto carente sul tema.

Andando alle azioni possibili, l’UNAR ha creato, nel 2009, un Contact Center per la raccolta di reclami, sostegno immediato e psicologico e aiuto alle vittime nelle procedure legali e informa il Parlamento e il Governo attraverso due relazioni annuali sull'applicazione effettiva del principio della parità di trattamento e sull'efficacia dei meccanismi di protezione. Inoltre, ogni anno, in occasione della Giornata Internazionale della Memoria dell’Olocausto il 27 gennaio(5) e della Settimana di Azione contro il Razzismo ha messo in piedi una serie di iniziative dedicate al tema specifico. L’altro organismo attivabile è l’OSAD, che è stato istituito nel 2011. Fa parte del Dipartimento della Pubblica Sicurezza e dal novembre 2015 ha istituito l'Osservatorio Media e Internet grazie al quale, oltre al monitoraggio diretto svolto da funzionari interni, può raccogliere segnalazioni da parte di singoli cittadini o associazioni tramite e-mail o tramite un servizio telefonico gratuito, che poi vengono gestite dall’Ufficio che sceglie se contattare gli autori dei blog o i responsabili dei siti e se segnalare il caso alla Polizia postale. Accanto all’UNAR e all’OSCAD, vi sono inoltre alcune organizzazioni del terzo settore che si occupano di monitorare gli episodi di discriminazione. Ad esempio il monitoraggio dei giornali condotto dall’Associazione Articolo 3, Osservatorio sulla discriminazione, dal 2009 al 2014, oppure i Libri Bianchi dell’associazione Lunaria, o le relazioni annuali dell'Associazione Carta di Roma, e ancora il monitoraggio condotto dall’associazione Naga di Milano sui giornali italiani da giugno 2012 a marzo 2013. Da tutte queste attività è sempre emerso che media e politica sono aree in cui l’incitamento all'odio è particolarmente forte ed in molti casi si sono verificati episodi rivolti specificatamente contro comunità rom e sinte.

A livello istituzionale, in base alla Strategia Nazionale, l’antiziganismo è ufficialmente riconosciuto e collegato alla necessità di un’inclusione della minoranza rom e sinta in “un processo più completo di crescita culturale, che coinvolge la società nel suo insieme” e che ha il compito “di eliminare i germi di discriminazione razziale dalla mentalità europea e nazionale, che storicamente ha assunto la forma del cosiddetto anti-gitanismo”. Ed è ancora definito come un “complesso fenomeno culturale e storico, carico di gravi effetti negativi sulle condizioni di vita delle comunità Rom e Sinti che ha causato nel corso del XX secolo grandi tragedie come quella di Porrajmos”. Inoltre sul finire del 2017 la Commissione Jo Cox sull’odio, l’intolleranza, la xenofobia e il razzismo (istituito il 10 maggio 2016 dalla Camera dei Deputati) ha dedicato un capitolo all’antiziganismo nell’ambito della relazione finale della Commissione di Indagine sulle Condizioni di Sicurezza e sullo Stato di Degrado delle Città e delle loro Periferie, a dimostrazione del fatto che le istituzioni iniziano a prendere coscienza del fenomeno.

Ma nonostante tutto questo non possiamo affermare che vi sia un’adeguata consapevolezza delle conseguenze dell’antiziganismo nella società italiana: lo Stato italiano mette la lotta all’antiziganismo in secondo piano, occupandosene invece in maniera sporadica e a volte da un punto di vista puramente storico e culturale, slegato dall’ambito sociale e legale. Tutto ciò contribuisce all’esclusione della comunità rom e sinte con un impatto diretto sulle vite di coloro che sono presi di mira; E’ invece compito delle amministrazioni pubbliche progettare e attuare politiche di inclusione e di argine della retorica razzista antiziganina da parte dell’opinione pubblica.

Il riconoscimento necessario

Sia il limbo in cui sono condannati molti rom di origine balcanica, sia quella della crescita dell’antiziganismo derivano anche da alcune carenze legislative in Italia: la prima fra tutte è il non riconoscimento della popolazione rom e sinta come una minoranza, cosa che le è stata negata al momento del varo della legge 482 del 1999 “Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche”. All’epoca la motivazione del Legislatore fu che la definizione di minoranza si applica solo ad un gruppo di persone che vive in un’area identificabile nel paese e con le proprie specificità linguistiche, mentre, sempre secondo il dibattito di allora, i rom hanno si una specificità linguistica ma non quella territoriale. Negli ultimi anni sono state avanzate diverse proposte di legge in Parlamento che non sono riuscite a modificare questa situazione. Nel 2012, la Federazione Rom e Sinti Insieme, ha proposto assieme a 43 associazioni di Sinti e Rom, accademici, formazioni politiche e sindacali e associazioni nazionali, un'iniziativa legislativa popolare (PLI) "Per la protezione e le pari opportunità della minoranza storico-linguistica di Rom e Sinti”. Nell’anno successivo la Fondazione Romanì Italia ha presentato la sua proposta in collaborazione con l'Università di Teramo, incentrandola sul piano regionale e sul riconoscimento linguistico, ma nessuno di questi tentativi ha avuto successo. Fermo restando l’utilitá che iniziative del genere hanno nel porre una questione ventrale come quella del riconoscimento formale della minoranza rom e sinta, rimangono comunque delle grosse perplessità rispetto a questo tipo di proposte “specifiche” invece che sostenere l’inserimento della popolazione rom e sinta all’interno delle 482/99.

Il punto è che l’affermazione di diritti e tutele di valore generale in un testo dedicato a una sola minoranza rischia di distinguere e separare i rom e i sinti, presentandoli come vittime “eccezionali” o comunque diversi, laddove l’obiettivo dovrebbe essere quello di riportarli entro un contesto di tutela per tutti e per ciascuno. Si tratta, piuttosto, di ribadire che un diritto fondamentale deve valere per chiunque, e che la sua violazione, per quanto temporaneamente limitata a una sola minoranza, ne compromette l’universalità e la validità.

Tale passaggio è essenziale per evitare che certe proposte, se pur con intenzioni positive, riducano le popolazioni rom e sinti a delle mere categorie da proteggere. Nella legge di iniziativa popolare della Federazione Rom e Sinti Insieme, ad esempio, solo ai rom e ai sinti si attribuiscono diritti e possibilità che invece dovrebbero essere allargati a tutti i cittadini. Il diritto alla coesione di nuclei familiari allargati, la tutela di peculiari forme dell’abitare fondate sull’uso di spazi esterni o comuni, coltivare capacità artigianali delle propria tradizione, preservare gli elementi essenziali della propria identità come la religione, la lingua, le tradizioni ed il patrimonio culturale, che invece dovrebbero essere declinate al plurale e universalmente. Problema simile aveva la proposta fatta dalla Fondazione Romanì, il cui fulcro era il riconoscimento della lingua romanes fra le lingue minoritarie. Uno degli strumenti principali proposti era quello della “standardizzazione della lingua romanì, al fine di facilitarne lo studio e la trasmissione generazionale”. Ma tale standardizzazione appariva come un’operazione artificiale che portava con se il rischio di occultare e svalorizzare la pluralità delle pratiche linguistiche, degli sviluppi e delle trasformazioni in atto all’interno delle diverse comunità di parlanti romanès. Entrambe le proposte portavano con se, quindi, grandi rischi. Quella della Fondazione Romanì rischiava, anche se solo in parte, di costruire un riferimento linguistico artificiale mentre la prospettiva verso cui tendeva la proposta della Federazione Rom e Sinti Insieme incorreva in una serie di contraddizioni che conducono più ad una separazione che ad un’avvicinamento dei gruppi rom dalla società italiana, in nome di una specificità che garantirebbe a rom e sinti servizi e risorse percepiti, paradossalmente, come “privilegi”.

Da un punto di vista normativo, invece, sarebbe sufficiente inserire anche i rom e i sinti tra le minoranze storico-linguistiche da tutelare nella legge 482/99, senza varare una legge ad hoc per i rom e i sinti, ma rendere effettive per tutti le tutele già previste nel nostro ordinamento.

Conclusioni

Il quadro che emerge é, quindi, molto negativo. Sarebbe necessario, innanzitutto, dare concretezza alla Strategia Nazionale di Inclusione del 2012, in particolare per la costruzione di un quadro nazionale coerente dove possano muoversi le amministrazioni locali. E da questo dare corpo a tutti gli altri propositi legislativi che, invece, in gran parte sono rimasti solo carta scritta, a cominciare dall’intervenire urgentemente sulle situazioni di “apolidia di fatto”, in particolare per i minori in procinto di raggiungere la maggiore età. Dall’altra parte, inoltre, andrebbero interrotte le “politiche dedicate”, in nome dell’inclusione della minoranza rom e sinta nei servizi territoriali e scolastici, nelle politiche del lavoro già esistenti, nelle strutture sanitarie locali. Senza questo cambio di rotta, anche nel 2019 ci troveremo ad ascoltare altri proclami su una presunta “questione rom” da affrontare urgentemente.



Note

(1) - Commissione per i diritti umani del Senato Italiano, "Rapporto conclusivo dell’indagine sulla condizione di Rom, Sinti e Caminanti in Italia", 2011; "Rapporto di Thomas Hammarberg, Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, in seguito alla sua visita in Italia del 26-27 maggio 2011.

(2) - Bisogna specificare che la legge italiana prevede alcuni casi di rilascio di un permesso di soggiorno in deroga alle disposizioni ordinarie in materia di ingresso e soggiorno degli stranieri: qualora sussistano gravi motivi connessi allo sviluppo psico-fisico del minore, il Tribunale per i minorenni può autorizzare al soggiorno i genitori irregolarmente soggiornanti (d.lgs. n. 286/98, art. 31, co. 3). C’é poi tutta la partita dei “permessi di soggiorno per motivi umanitari” (d.lgs. 286/98, art. 5, co. 6) le cui recenti modifiche da parte del Decreto Salvini non permettono ancora un effettivo bilancio.

(3) - Si vedano, tra gli altri: "Rapporto di Nils Muižnieks Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa in seguito alla sua visita in Italia dal 3 al 6 luglio 2012", 2012; ECRI, Rapporto sull’Italia, 2012; Comitato della Nazioni Unite sui diritti del fanciullo, "Osservazioni conclusive per il 3° e 4° Rapporto periodico sull’Italia", 2011.

(4) - Proprio per questo motivo, nel 2017 l’allora Ministero della Giustizia aveva annunciato la nascita di un organismo indipendente per contrastare la propaganda d’odio in Rete. Ma in realtà in caso di reato politico, le sanzioni sono previste solo quando il reato ha provocato reazioni discriminatorie o violente direttamente riconducibili alla propaganda.

(5) - Giornata che in Italia si celebra a norma della legge 211 del 2000 ma che non fa esplicito riferimento al genocidio dei rom e dei sinti.