Aggiornato al: 30/04/2019
Anche quest'anno le tematiche connesse all’attuazione delle norme in tema di interruzione volontaria di gravidanza, di procreazione medicalmente assistita e agli interventi legislativi e istituzionali riguardanti il contrasto alla violenza sulle donne rappresentano gli elementi fondamentali per valutare lo stato dei diritti in Italia in tema di libertà e autodeterminazione femminile.
Se negli ultimi quarant'anni sono stati fatti enormi passi avanti in tema di diritti delle donne, è amaro notare come in questo ultimo periodo il discorso politico sembri mettere in discussione molti risultati acquisiti. Il riferimento è alle numerose mozioni pro-vita che sono state presentante in vari comuni italiani, che minano il diritto ad interrompere la gravidanza sancito dalla legge 194/1978 e al disegno di legge Pillon in tema di separazione ed affido condiviso, che rischia di non lasciare scampo alle donne che si trovano a vivere una relazione violenta. Stenta anche l'attuazione della legge 40/2004, che disciplina la procreazione medicalmente assistita, nonché, a seguito dell'intervento della Corte Costituzione, la diagnosi genetica pre-impianto. Per vero, non mancano interventi di segno opposto, come la legge 161/2017, la legge 4/2018 che hanno introdotto numerose novità in tema di contrasto alla violenza sulle donne, nonché il disegno di legge approvato dal Consiglio dei ministri nel novembre 2018, che si propone di introdurre un vero e proprio “Codice Rosso”, volto a dare la priorità ai procedimenti giudiziari che hanno ad oggetto violenza domestica. Probabilmente interventi di questo tenore sarebbero più numerosi e il discorso politico sarebbe diverso se le donne avessero maggiore voce in politica, ma la situazione nazionale, da questo punto vista, è assai deprimente. Nell'attuale Governo, infatti si contano solo 11 donne tra ministri e sottosegretari e a livello locale la situazione non è certo migliore: solo il 14% dei sindaci italiani è donna e solo due sono le presidenti di Regione(1) .
Quarant'anni fa veniva promulgata la legge 194/1978 volta a disciplinare l'interruzione volontaria di gravidanza. Una legge che sicuramente presenta delle criticità, ma che ha il pregio di mettere nero su bianco il diritto ad una procreazione cosciente e responsabile, garantendo alle donne, dopo anni di battaglie, di vivere la sessualità slegata dalla procreazione e quindi l'autodeterminazione circa il se e il quando diventare madri. Diritti che, però, ancora oggi stentano ad essere pienamente riconosciuti e che vengono costantemente messi in discussione anche dal discorso politico. Ne sono testimonianza lampante i manifesti “Pro-Vita” apparsi negli ultimi mesi in numerose città italiane: gigantografie di un feto nel ventre materno finalizzate a ricordare al passante casuale che «Tu eri così a 11 settimane. Tutti i tuoi organi erano presenti. Già ti succhiavi il pollice. Ora sei qui perché tua mamma non ha abortito». Un messaggio che, nell'intento di scuotere le coscienze, di promuovere la vita a discapito dell'interruzione volontaria di gravidanza, si scaglia sulla scelta di donne e di coppie, senza preoccuparsi delle motivazioni che conducono ad essa, al travagliato percorso interiore di cui spesso è il risultato e che, per altro, addossa interamente alla donna la responsabilità della scelta stessa.
Questo lo scenario quarant'anni dopo quel fatidico 1978. Un palco scenico in cui ogni tanto fa pericolosamente la sua comparsa una mozione pro- vita di un qualche consigliere comunale, in uno dei tanti campanili italiani. L'ultima, nel momento in cui si scrive(2) , è quella presentata a Milano dal Consigliere comunale Amicone e ha ad oggetto le iniziative volte a sostenere il capoluogo lombardo come “città per la vita”. Nella mozione si sostiene che la legge 194/1978 ha contribuito ad aumentare il ricorso all'interruzione volontaria di gravidanza come uno strumento contraccettivo, non riducendo il ricorso all'aborto clandestino e chiede al Sindaco e alla Giunta l'impegno a prevedere congrui finanziamenti ad istituzioni, associazioni e gruppi che sostengono concretamente politiche a favore della famiglia e della vita. Il dibattito in aula è stato accompagnato dalle proteste delle attiviste di “Non una di meno” e la mozione è stata ritirata. Diverso, invece, nonostante le proteste, l'esito dell'analoga mozione approvata il 4 ottobre dal Comune di Verona(3) , che impegna Sindaco e Giunta a finanziare associazioni che hanno l'obiettivo di promuovere iniziative contro l'aborto, a sostenere il progetto “culla segreta”, ossia a diffondere , sopratutto nei consultori, i manifesti realizzati dalla Regione Veneto in collaborazione con la Federazione dei movimenti e dei Centri di aiuto alla vita del Vento volti a pubblicizzare la possibilità di partorire in ospedale in modo sicuro e segreto, e, infine, proclama ufficialmente Verona “città a favore della vita”. Il successo della mozione anti-abortista di Verona ha spinto i consiglieri comunali di numerose città italiane a riproporne il testo e a tentare di farlo approvare dai rispettivi Consigli. Oltre che a Milano, infatti, mozioni di tale tenore sono state presentate a Ferrara, Trieste(4) , Sestri Levante e Roma. In particolare, per quanto riguarda la Capitale, la mozione volta a fare anche di Roma una “città a favore della vita” presentata da Giorgia Meloni, seguita da due contro-mozioni(5) finalizzate a impegnare la Sindaca ad assumere pubblicamente una posizione in difesa dei diritti di autodeterminazione delle donne e ad attivarsi a livello istituzionale per la piena attuazione della l. 194/1978, è stata respinta il 22 novembre scorso. A prescindere dall'esito di tali mozioni, è il loro aspetto culturale e simbolico che necessita di essere preso in considerazione. A cominciare dall'ambiguità rappresentata dalla locuzione “a favore della vita” che si vuole accostare alle città di volta in volta interessate, il cui contrario semantico sarebbe rappresentato dall'essere favorevoli alla morte, attributo che nessun Comune italiano di certo vorrebbe riconosciuto. La vita a cui si intende fare riferimento sembra, piuttosto, quella del feto a discapito delle libertà e autodeterminazione della donna. Senza considerare i presupposti logici che si leggono nelle mozioni che sostanzialmente chiedono la piena attuazione della legge 194/78, specie nella parte in cui la stessa sancisce che l'aborto non è uno strumento di controllo delle nascite, nonché il diritto all'obiezione di coscienza del personale medico sanitario. Si lega, cioè, la crisi demografica del Paese all'elevato ricorso all'interruzione volontaria di gravidanza e si sostiene che l'obiezione di coscienza garantita dall'art, 9 della l. 194/78 «non ostacola in nessun modo l'accesso all'aborto»(6) . I dati ufficiali resi noti dal Ministero della Salute, però, dicono l'esatto contrario. Nell'ultima Relazione sull'attuazione delle legge 194/1978 si legge, infatti, che dal 1983 il ricorso all'interruzione volontaria di gravidanza è in costante diminuzione e che «attualmente il tasso di abortività del nostro Paese è fra i più bassi di quelli dei paesi occidentali»(7) . Quanto all'obiezione di coscienza del personale medico sanitario, il cui numero elevato per altro è in costante aumento, come si è messo più volte in evidenza anche nelle precedenti edizioni del presente Rapporto, essa rappresenta, il principale e maggiormente preoccupante ostacolo al pieno riconoscimento della libertà ed autodeterminazione della donna alla maternità. Con il 70,9% di ginecologi obiettori registrati nel 2016(8) , l'Italia risulta essere, infatti, tra gli ultimi Paesi in Europa per la tutela della salute delle donne che vogliono abortire, specie se si considera che spesso l'obiezione è mal praticata dal personale sanitario il quale ha certamente il diritto di rifiutare di effettuare interventi di interruzione volontaria di gravidanza, ma non può certo rifiutarsi di intervenire nelle fasi successive, specie se trattasi di situazioni emergenziali.
Anche il ricorso all'aborto farmacologico, contro cui pure si scagliano le vari mozioni anti-abortiste ritenendolo colpevole di aver aumentato il ricorso all'interruzione di gravidanza, nonché di aver introdotto la «cultura dello scarto»(9) e definendo quelle prodotte dalle pillole abortive delle «uccisioni nascoste»(10) , risulta essere scarso (nel 2016 si registra il 15,7% )(11) rispetto al numero totale di IVG effettuate e questo nonostante la sicurezza della metodica. Tale dato si spiega con molta probabilità in relazione alla modalità con cui in Italia tale tipologia di interruzione volontaria gravidanza è disciplinata e praticata. Come è noto, infatti, è possibile ricorrere all'aborto farmacologico solo entro il 49° giorno di amenorrea ed è comunque necessario il ricovero ospedaliero, diversamente da quanto accade in altri Paesi europei dove la procedura può essere eseguita fino alla nona settimana di gravidanza, in casa o in regime ambulatoriale.
È dunque vero che la legge 194/1978 è in uno stato critico di attuazione che merita l'attenzione della politica, ma in senso diametralmente opposto a quello verso cui spingono le mozioni-anti abortiste citate, ossia nell'ottica di garantire il diritto alla procreazione cosciente e responsabile sancito dalla stessa legge, veicolo indispensabile per libertà ed autodeterminazione femminile. E, quindi, più che preoccuparsi di quali manifesti pubblicitari dovrebbero essere presenti nei consultori familiari, sarebbe necessario occuparsi della loro ancora scarsa diffusione sul territorio nazionale, nonché del fatto che in essi troppo spesso non viene svolta attività connessa all'interruzione volontaria di gravidanza, ma servizi per l'età evolutiva o dedicati allo screening dei tumori (12). Senza contare che anche all'interno degli stessi è presente un ancora troppo elevato numero di medici obiettori di coscienza, pur essendo inferiore a quello che si registra nelle strutture ospedaliere(13) . Ancora, se veramente si vuole affermare una procreazione cosciente e responsabile, anche limitando il numero degli aborti, è necessario promuovere l'educazione sessuale nelle scuole, attualmente del tutto carente, e rivedere la normativa in tema di contraccezione. A tal proposito è utile ricordare che la costante diminuzione del numero di IVG è da attribuirsi, almeno in parte, come si legge anche nell'ultima Relazione sull'attuazione della legge 194/78 del Ministero della Salute(14) , alla eliminazione, a partire dalle delibere AIFA del 2015, dell'obbligo di prescrizione medica per la contraccezione ormonale di emergenza nel caso di donne maggiorenni. Proprio l'andamento del tasso di abortività suggerirebbe l'opportunità di eliminare l'obbligo di prescrizione medica per la contraccezione di emergenza anche per le giovani donne minorenni.
Del preoccupante stato di attuazione della legge 194/1978 quale vero e proprio ostacolo al diritto della donna di interrompere volontariamente la gravidanza nel rispetto di quanto disposto dalla stessa legge, si fanno portavoce le numerose proteste sollevate anche dagli operatori del settore. Ne è un esempio la petizione lanciata da quattro ginecologhe non obiettrici su change.org, diretta al neo Ministro della Salute Grillo, che ha raggiunto nel giro di poco tempo oltre 100.000 firme. Le promotrici(15) chiedono al Ministro la disposizione dell'erogazione del servizio di IVG in ogni ospedale e l'istituzione della presenza obbligatoria di ginecologi non obiettori h 24, la previsione di sanzioni per le direzioni sanitarie che non assicurano la piena assistenza alle donne che intendono interrompere la gravidanza e l'istituzione di un helpline nazionale gratuita gestita dal Ministero per informare e accompagnare le donne respinte da medici/ospedali obiettori affinché possano ottenere l'IVG a cui hanno diritto.
Procreazione Medicalmente Asistita (PMA)
L'ingresso a pieno titolo della fecondazione eterologa tra le tecniche di procreazione medicalmente assistita(16) ha avuto un effetto dirompente nell'ordinamento nazionale, specie con riferimento al Sistema Sanitario Nazionale. Ne sono testimonianza il decreto del Ministro della Salute del 1 luglio 2015 che aggiorna le linee guida del 2008 in tema di PMA, nonché il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM) del 12 gennaio 2017 contenente i nuovi Livelli essenziali di assistenza – LEA nei quali si inserisce per la prima volta nell'elenco delle prestazioni erogabili dal Sistema Sanitario Nazionale (SSN) la PMA sia omologa che eterologa. Questo implica che le coppie che si sottopongono a tali trattamenti, indipendentemente dalla Regione di provenienza, dovranno pagare un ticket quanto più possibile uniforme per il servizio. In proposito è, però, opportuno porre in rilievo come al momento le tariffe massime delle prestazioni elencate nei nuovi LEA non risultano determinate a livello nazionale, posto che l'art. 64 del DPCM citato prevede che le stesse saranno stabilite da un decreto emanato dal Ministro della Salute, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita l'Agenzia per i servizi sanitari regionali, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano. Sarà, in ogni caso, compito delle Regioni, anche dopo la piena operatività dei nuovi LEA, fissare l'importo del contributo a carico degli utenti in relazione tutte le spese connesse alle prestazioni di raccolta, conservazione e distribuzione di cellule riproduttive finalizzate alla PMA eterologa. Ma questa non è l'unica carenza che accompagna i nuovi LEA e l'inserimento negli stessi delle tecniche di PMA. Infatti, mancano nei LEA aggiornati al 2017 mancano le tecniche di diagnosi pre impianto, a cui per altro, in seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 96/2015, possono accedere anche le coppie fertili affette da malattie geneticamente trasmissibili, la cui erogazione è, dunque, esclusa da Servizio Sanitario Nazionale. Di tale carenza si è fatta la portavoce Filomena Gallo, Segretario nazionale dell'associazione Luca Coscioni, la quale, dopo aver scritto al precedete Ministro ha nuovamente sottoposto il problema alla neo- Ministro, Giulia Grillo(17). In attesa della risposta da parte della politica, come spesso accade in Italia, sono i giudici a garantire i diritti riconosciuti ai consociati. È quanto accaduto a luglio di quest'anno ad una coppia di Casale Monferrato che nel 2016 a seguito della perdita della loro figlia di soli 35 giorni, avuta grazie alle tecniche di PMA, si è scoperta portatrice di una malattia geneticamente trasmissibile e ha deciso di ricorrere alla diagnosi genetica pre-impianto, rivolgendosi ad un centro pubblico autorizzato nella provincia di Trento. L'ASL di Alessandria, però, non ha autorizzato l'esecuzione della diagnosi a carico del Servizio Sanitario Nazionale, in quanto prestazione non inclusa nel nomenclatore tariffario regionale piemontese. La coppia ha depositato per mezzo del proprio legale un ricorso cautelare e il giudice del Tribunale di Vercelli(18) ha condannato la ASLdi Alessandria ad erogare le prestazioni di diagnosi genetica pre-impianto sia in via diretta tramite strutture accreditate dal sistema regionale piemontese, ovvero, in alternativa, con assistenza indiretta nell'ambito del Servizio sanitario nazionale, mediante il ricorso ad altre strutture sanitarie, anche estranee al territorio regionale piemontese, con onere a carico della ASL di Alessandria e della Regione Piemonte. Giova a tal proposito fare presente che in Italia solo la Toscana e la Provincia autonoma di Trento garantiscono queste prestazioni in regime pubblico. Si tratta quindi di un problema nazionale, che, oltretutto, obbliga le coppie che ne hanno il diritto anche ad onerose trasferte interregionali. Strettamente correlata a tale questione è quella concernete il numero dei centri che sul territorio nazionale effettuano interventi di PMA: come si legge nell'ultima Relazione del Ministero della Salute, aggiornata ala 2016, si contano 360 centri, di cui 112 pubblici, 22 privati convenzionati e 260 privati(19). Tra questi centri non tutti sono in grado di erogare le stesse prestazioni: solo 200 di questi, infatti, è in grado effettuare fecondazioni in vitro (così dette tecniche di II e III livello), mentre i restanti 160 effettuano solo tecniche di I livello, ossia fecondazione intrauterina(20). Anche nell'erogazione delle diverse tecniche di PMA si rinviene il divario tra centri pubblici e privati, nonché profonde differenze in ordine alla loro distribuzione territoriale. Secondo la citata Relazione, infatti, dei 160 centri di I livello, solo 38 sono pubblici, 3 privati convenzionati e 119 sono privati; il 78% dei centri pubblici e privati convenzionati e la metà dei centri privati si trova nel Nord Italia(21). Per ciò che attiene ai centri di II e III livello, attivi nel 2016, i 74 centri pubblici ed i 19 privati convenzionati insieme rappresentano il 46,5% dei centri presenti in Italia. Inoltre, i centri pubblici e privati convenzionati che effettuano tali tecniche di PMA sono più diffusi nel Nord Italia (54,8%), mentre i centri privati sono presenti in maggior numero nel Centro (54,2%) e nel Sud (71,8%)(22). Se, in generale, i centri privati che effettuano tecniche di PMA sul territorio nazionale sono in numero maggiore rispetto a quelli pubblici, sono questi ultimi che, stando ai dati relativi al 2016, effettuano il maggior numero di trattamenti(23) e ciò in quanto nei presidi pubblici e privati convenzionati, le prestazioni rientrano nell'ambito del Servizio Sanitario Nazionale con conseguente abbassamento dei costi a carico delle coppie che si sottopongono a tali interventi.
Quanto alla violenza sulle donne è necessario osservare che in questi anni vi è stata un'evoluzione positiva, almeno per ciò che attiene la consapevolezza delle donne circa i propri diritti e la maggiore propensione delle stesse a denunciare gli abusi e le violenze subite. Questo è avvento sopratutto grazie ad una maggiore attenzione della società civile, a tutti i livelli, al tema della violenza maschile sulle donne. Sicuramente anche le istituzioni hanno fatto la loro parte. Dopo la ratifica della Convenzione di Istanbul e la legge 119/2013, infatti, dapprima si è introdotto con il decreto attuativo del Job Acts (D.lgs. 80/2015) un congedo dal lavoro, retribuito e di tre mesi per le vittime di violenza, poi, nel luglio 2015 è stato adottato il Piano di azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere(24), nel 2016 sono stati istituiti la Cabina di regia interistituzionale contro la violenza sessuale e di genere(25) e, a suo supporto, l'Osservatorio nazionale sul fenomeno della violenza. Il Governo in questi anni ha, inoltre, stanziato fondi per il sostegno delle politiche in favore delle donne vittime di violenza che sono andati sempre aumentando, passando dai 10 milioni di euro annui previsti dalla legge 119/2013 ai 30 milioni di euro del 2018 previsti dall'ultima legge di bilancio. Merita, inoltre, i di essere citato il primo Piano nazionale d'azione contro la tratta e il grave sfruttamento, adottato dal Governo nel 2016, al cui supporto sono stati stanziati dapprima 15 milioni di euro e, successivamente, nel 2017, 22,5 milioni di euro.
Anche dal punto di vista normativo sono state introdotte rilevanti novità. Con l'entrata in vigore poi della legge 17 ottobre 2017, n. 161, di riforma del Codice antimafia, agli indiziati del reato di stalking potranno essere applicate le misure di prevenzione, della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, cui può essere aggiunto, se le circostanze del caso lo richiedano, il divieto di soggiorno in uno o più comuni, diversi da quelli di residenza o di dimora abituale o in una o più province. Quando le altre misure di prevenzione non siano ritenute idonee può essere imposto all'indiziato di atti persecutori l'obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di dimora abituale. Infine, con il consenso dell'interessato, anche allo stalker potrà essere applicato il cosiddetto braccialetto elettronico, una volta che ne sia stata accertata la disponibilità. La riforma del Codice consente inoltre l'applicazione agli indiziati di stalking anche delle misure di prevenzione patrimoniali. Ancora, la legge 4/2018, ha apportato modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e ha previsto disposizioni in favore degli orfani per crimini domestici. Sul piano del diritto penale sostanziale, il legislatore è intervenuto sull'art. 577 del codice penale, che disciplina le aggravanti al delitto di omicidio, prevedendo la pena dell'ergastolo nelle ipotesi in cui il fatto sia commesso contro il coniuge, anche legalmente separato, contro l'altra parte dell'unione civile o contro la persona legata al colpevole da relazione affettiva e con esso stabilmente convivente. La pena, invece, è della reclusione da 24 a 30 anni qualora il fatto sia commesso contro il coniuge divorziato, ovvero l'altra parte dell'unione civile, qualora sia cessata. Sul piano civile è stata disciplinata la sospensione dalla successione del coniuge, anche legalmente separato, nonché della parte dell'unione civile, indagati per l'omicidio volontario o tentato dell'altro coniuge o dell'altra parte dell'unione, fino all'archiviazione o alla sentenza definitiva di proscioglimento, mentre in caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta della parti, ai sensi dell'art. 444 del codice di procedura penale, il responsabile è escluso dalla successione come indegno(26). Ai sensi dell'art. 7 delle legge 4/2018, che va a modificare l'art. 1 della legge 125/2011, sono altresì sospesi dal diritto alla pensione di reversibilità o indiretta ovvero all'indennità una tantum il coniuge, anche legalmente separato, separato con addebito o divorziato, quando sia titolare di assegno di mantenimento o divorzile, nonché la parte dell'unione civile, anche se l'unione civile è cessata, quando la parte stessa sia titolare di assegno, per i quali sia stato richiesto il rinvio a giudizio per l'omicidio volontario nei confronti dell'altro coniuge, anche legalmente separato o divorziato, ovvero dell'altra parte dell'unione civile, anche se l'unione civile e' cessata, fino alla sentenza definitiva. In relazione alle misure in favore degli orfani di crimini domestici, il legislatore del 2018 è intervenuto su più fronti. Tra le novità di rilievo si segnala la riscrittura dell'art. 316 del codice di procedura penale, il quale nella sua attuale versione prevede che il pubblico ministero, quando procede per il delitto di omicidio commesso contro il coniuge, anche legalmente separato o divorziato, contro l'altra parte dell'unione civile, anche se l'unione è cessata, o contro la persona che è o è stata legata da relazione affettiva e stabile convivenza, e rileva la presenza di figli della vittima minorenni o maggiorenni economicamente non autosufficienti chieda al giudice, in ogni stato e grado del procedimento, e quindi a prescindere dall'effettivo esercizio dell'azione penale, il sequestro conservativo dei beni mobili e immobili dell'imputato a garanzia del risarcimento dei danni civili subiti dai figli stessi. Ancora, in tali situazioni, quando il giudice pronuncia sentenza di condanna e nel processo penale è stata proposta l'azione civile per le restituzioni e il risarcimento del danno, a norma del novellato art. 539 c.p.p., anche d'ufficio provvede all'assegnazione di una provvisionale in favore dei figli delle vittime, in misura non inferiore al 50% del presumibile danno da liquidare in separato giudizio civile. Inoltre, l'art. 1 della legge 4/2018 ha modificato l'art. 76 del D.p.r 115/2002 sulle spese di giustizia, disponendo che I figli minori o i figli maggiorenni economicamente non autosufficienti rimasti orfani di un genitore a seguito di omicidio aggravato ai sensi del novellato art. 577 c.p. possono essere ammessi al patrocinio a spese dello Stato, anche in deroga ai limiti di reddito previsti, applicando l'ammissibilità in deroga al relativo procedimento penale e a tutti i procedimenti civili derivanti dal reato, compresi quelli di esecuzione forzata.
La legge 4/2018 e gli altri interventi istituzionali volti a contrastare la violenza sulle donne sembrano stentare nella loro concreta attuazione, così come messo in rilievo da una recente mozione presentata al Parlamento da Laura Boldrini e da Lucia Annibali ed approvata il 29 novembre scorso. Le due parlamentari, lamentano il rischio che nella nuova legislatura si disperda il lavoro della precedente e che si possa assistere ad un vero e proprio passo indietro sul tema. In particolare si sottolinea come le risorse stanziate dalla scorsa legge di bilancio per il 2018 ai centri anti-violenza e alle case rifugio, ripartite nel maggio scorso in Conferenza Stato-Regioni, ad oggi non risultano ancora essere state trasferite alle Regioni stesse; nella legge di bilancio dell'attuale Governo, in merito allo stanziamento di risorse destinate al Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità, si registra una decurtazione, per il triennio 2019, 2020 e 2021, di circa 500.000 euro l'anno, così come è ribassato anche il Fondo per le vittime di reati intenzionali violenti, quello per gli orfani di femminicidio e quello antitratta. Il rischio di una vera e propria retrocessione rispetto ai traguardi raggiunti in tema di libertà e autodeterminazione femminile ai cui sembra tendere la politica del nuovo Governo, è, inoltre, testimoniato dal tanto discusso e criticato disegno di legge Pillon(27) recante norme in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità. Il disegno di legge ha l’obiettivo di modificare la legge 54/2006, in tema di affido condiviso, e prevede, pena l'improcedibilità della domanda, a carico delle coppie con figli minori che intendono separarsi, la mediazione familiare obbligatoria e tempi paritetici di frequentazione dei figli(28). Ancora, il disegno di legge cancella l’assegno di mantenimento al coniuge presso cui il figlio risiede e lo sostituisce con il mantenimento diretto dello stesso le cui modalità dovranno essere stabilite, sia per ciò che attiene le spese ordinarie che straordinarie, nel “piano genitoriale” all'interno del quale a ciascuno dei due coniugi dovranno essere attribuiti specifici capitoli di spesa in misura proporzionale al reddito(29). Inoltre, il coniuge assegnatario della casa coniugale di proprietà dell'altro dovrà corrispondere a quest'ultimo un indennizzo pari al canone d'affitto computato sulla base degli ordinari prezzi di mercato(30). Infine, con l'intento di contrastare la così detta “alienazione parentale”, ossia allontanamento del figlio da uno dei due genitori volontariamente messo in atto dall’altro, si prevede che, qualora il figlio rifiuti il rapporto con uno dei genitori o con un altro familiare, il giudice possa limitare o sospendere la responsabilità genitoriale dell’altro genitore nel presupposto che ci sia stata una manipolazione del minore. Quest’ultimo potrà anche essere messo provvisoriamente in una casa famiglia previa redazione da parte dei servizi sociali o degli operatori della struttura di uno specifico programma per il pieno recupero della bigenitorialità del minore(31). Le novità che si vorrebbero introdurre con il disegno di legge Pillon, come messo in evidenza anche dall'associazione D.I.Re.- Donne in rete contro la violenza(32)- rischiano di fatto di impedire alle donne, specie quelle non economicamente autosufficienti, di porre fine a relazioni con partners violenti. Inoltre, l'introduzione della mediazione familiare obbligatoria si pone in contrasto con la Convenzione di Istanbul che, all'art. 48, vieta metodi alternativi di risoluzione dei conflitti, tra cui la mediazione e la conciliazione, per tutte le forme di violenza che rientrano nella Convenzione stessa. Non resta che attendere le sorti del disegno di legge assegnato alla Commissione Giustizia del Senato in sede redigente.
Va, infine, posta attenzione ai dati presentati a febbraio di quest'anno(33) dalla Commissione d'inchiesta sul femminicidio, istituita presso il Senato della Repubblica italiana lo scorso 2017(34) , la cui Relazione è stata approvata all'unanimità, da cui emergono tantissime indicazioni e vuoti normativi da colmare. Una delle maggiori incongruenze evidenziate è la totale incomunicabilità tra procedimenti civili e penali, e tra questi ultimi e il tribunale per i minorenni: solo il 36% degli uffici giudiziari, infatti, riesce a lavorare “in rete” contro la violenza sulle donne, mentre il resto degli uffici non ha sottoscritto o non utilizza protocolli a tal fine. Inoltre, si mette in evidenza come le forze dell'ordine troppo spesso tendono a catalogare episodi di violenza conflitto familiari. Quello che si rende necessario, dunque, è una vera propria specializzazione sulla violenza contro le donne sia nelle forze dell'ordine che all'interno della magistratura. Con riguardo a tale ultimo aspetto, merita di essere segnalata la Risoluzione sulle linee guida in tema di organizzazione e buone prassi per la trattazione dei procedimenti relativi a reati di violenza di genere e domestica, deliberata da Consiglio Superiore della Magistratura il 9 maggio 2018, volta a promuovere le buone prassi organizzative al fine di rendere più efficiente ed efficace la risposta giurisdizionale. L'obiettivo della risoluzione è quello di fornire agli uffici giudiziari, sia giudicanti che requirenti, gli indirizzi per meglio organizzare l'attività di indagine e i giudizi sui reati riguardanti la violenza di genere e si rileva la necessità della costituzione, all'interno degli uffici, di gruppi di lavoro specializzati, nonché una puntuale formazione dei magistrati(35). Sulle orme delle linee guida del CSM pare muoversi il disegno di legge proposto al Ministro della Pubblica Amministrazione Giulia Bongiorno e dal Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede ed approvato dal Consiglio dei Ministri il 28 novembre scorso. Il il Ddl, noto anche come “Codice Rosso”, apporta alcune modifiche al Codice di procedura penale e si propone di garantire una ‘corsia preferenziale’, ovvero una maggiore tutela alle vittime di maltrattamento, violenza sessuale, atti persecutori e lesioni, commessi in contesti familiari o nell'ambito di relazioni di convivenza, assicurando la tempestività dell’adozione degli interventi cautelari o di prevenzione. In particolare si segnala la modifica dell'articolo 347 c.p.p., che nel testo novellato stabilirebbe l'obbligo della polizia giudiziaria di comunicare immediatamente al pubblico ministero le notizie di reato acquisite se riguardano delitti di maltrattamenti, violenza sessuale, atti persecutori e lesioni aggravate commessi in contesti familiari o di semplice convivenza, senza lasciare discrezionalità sulla sussistenza dell'urgenza. S'intende, poi, modificare l'art. 362 c.p.p., prevedendo che in questi casi di violenza domestica e di genere, il pubblico ministero proceda all'ascolto della vittima del reato entro tre giorni dall'avvio del procedimento. Inoltre, si intende integrare l'art. 370 c.p.p., obbligando la polizia giudiziaria a dare priorità allo svolgimento delle indagini delegate dal pubblico ministero (senza alcuna possibilità di valutare l'esistenza dell'urgenza) quando si tratti di reati di maltrattamenti, violenza sessuale, atti persecutori e lesioni aggravate, commessi in ambito familiare o di semplice convivenza. Al contempo, le risultanze acquisite con l'attività svolta dovranno essere documentate e trasmesse in modo altrettanto tempestivo al pubblico ministero. Infine, disegno di legge introduce l'obbligo di formazione per la polizia di Stato, Arma dei carabinieri e polizia Penitenziaria, attraverso la frequenza di corsi presso specifici istituti, così da fornire al personale coinvolto in procedimenti in materia di violenza domestica e di genere(36). Il provvedimento è passato ora al vaglio delle Camere, non resta, quindi, che attendere lo svolgersi dell'iter legislativo.
(1) - I dati sono tratti da M. Berlinguer, Donne in politica, la parità ancora un miraggio sopratutto in Comuni e Regioni, in https://www.repubblica.it/politica/2018/12/05/news/donne_in_politica_la_parita_e_ancora_un_miraggio_in_comuni_e_regioni-213416619/
(2) - La mozione è stata discussa il 22 novembre 2018
(3) - La mozione n. 434 è stata approvata con 21 voti favorevoli e 6 contrari.
(4) - La mozione presentata al Comune di Trieste è stata ritirata durante il consiglio comunale che si è tenuto il 24 settembre 2018
(5) - Si tratta delle mozioni presentate rispettivamente da Stefano Fassina e da alcuni esponenti del Partito Democratico.
(6) - Così si legge nella citata mozione 434 del Comune di Verona
(7) - Relazione del Ministro della Salute sulla attuazione della legge contenente norme per la tutela sociale della maternità e per l'interruzione volontaria di gravidanza (Legge 194/1978). Dati definitivi del 2016, p.8
(8) - Relazione del Ministro della Salute sulla attuazione della legge contenente norme per la tutela sociale della maternità e per l'interruzione volontaria di gravidanza (Legge 194/1978). Dati definitivi del 2016, si veda la tabella n. 28
(9) - Mozione 434 del Comune di Verona
(10) - Si veda, ancora una volta, la mozione 434 del Comune di Verona
(11) - Relazione del Ministro della Salute sulla attuazione della legge contenente norme per la tutela sociale della maternità e per l'interruzione volontaria di gravidanza (Legge 194/1978). Dati definitivi del 2016, si veda la tabella n. 25
(12) - Ministero della Salute, Relazione del Ministro della Salute sulla attuazione della legge contenente norme per la tutela sociale della maternità e per l'interruzione volontaria di gravidanza (Legge 194/1978). Dati definitivi del 2016, p. 57
(13) - La percentuale dei medici obiettori di coscienza all'interno dei consultori registrata nel 2016 è pari al 23,1%. Va, però, precisato che i dati raccolti dal Ministero della salute relativi ai consultori familiari non sono completi, essendo stati raccolti solo quelli relativi al 69% dei consultori stessi. Si veda sul punto Ministero della Salute, Relazione del Ministro della Salute sulla attuazione della legge contenente norme per la tutela sociale della maternità e per l'interruzione volontaria di gravidanza (Legge 194/1978). Dati definitivi del 2016,p. 57 e ss.
(14) - Ministero della Salute, Relazione del Ministro della Salute sulla attuazione della legge contenente norme per la tutela sociale della maternità e per l'interruzione volontaria di gravidanza (Legge 194/1978). Dati definitivi del 2016, p. 13
(15) - Silvana Agatone, ginecologa Presidente della LAIGA, libera associazione italiana ginecologi per l'applicazione della legge 194/1978; Elisabetta Canitano, ginecologa, Vita di Donna; Concetta Grande, ginecologa, LAIGA; Giovanna Scasselati, ginecologa, responsabile UOSD salute riproduttiva Ospedale San Camillo.
(16) - Si veda in proposito Corte Costituzionale, sentenza 162/2014 di cui si è ampiamente trattato nelle precedenti edizioni del presente Rapporto.
(17) - Si veda https://www.associazionelucacoscioni.it/notizie/comunicati/fecondazione-al-ministro-grillo-chiediamo-linserimento-delle-tecniche-diagnosi-preimpianto-nei-lea/
(18) - Ordinanza del Tribunale di Vercelli resa in data 15/10/2018.
(19) - Relazione del Ministro della Salute al Parlamento sullo stato di attuazione della legge 40/2004, presentata il 28 giugno 2018, p. 5
(20) - Relazione del Ministro della Salute al Parlamento sullo stato di attuazione della legge 40/2004, presentata il 28 giugno 2018, p.38
(21) - Relazione del Ministro della Salute al Parlamento sullo stato di attuazione della legge 40/2004, presentata il 28 giugno 2018, pp. 39-40.
(22) - Relazione del Ministro della Salute al Parlamento sullo stato di attuazione della legge 40/2004, presentata il 28 giugno 2018, p. 40
(23) - Nello specifico, il 61,2% dei cicli di trattamento è effettuato all'interno Servizio Sanitario Nazionale e, quindi, in centri pubblici o privati convenzionati. Relazione del Ministro della Salute al Parlamento sullo stato di attuazione della legge 40/2004, presentata il 28 giugno 2018, p. 15
(24) - DPCM del 7 luglio 2015 adottato ai sensi dell'art. 5 del decreto legge del 14 agosto 2013, n. 93, convertito con modificazioni dalla legge 15 ottobre 2013, n.119
(25) - decreto del Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento con delega alle pari opportunità del 25 luglio 2016
(26) - Si veda il nuovo articolo 463 bis del Codice civile.
(27) - Presentato in data 1 agosto 2018; annunciato nella seduta n. 30 del 2 agosto 2018.
(28) - Quanto alla mediazione familiare si veda l'art. 7 del Ddl, che è volto a modificare l'art. 706 c.p.c, mentre con riferimento ai tempi paritetici di frequentazione dei figli si legga l'art. 11 del Ddl, d modifica all'attuale 337 bis c.c., in http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01071882.pdf
(29) - Si veda l'art. 11 del Ddl, in http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01071882.pdf
(30) - Si legga l'art. 14 del Ddl, che intende modificare l'art. 337 sexies c.c., in http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01071882.pdf
(31) - Si vedano gli articoli, 17 e 18 del DDL in http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01071882.pdf
(32) - Si veda https://www.direcontrolaviolenza.it/perche-diciamo-no-al-disegno-di-legge-pillon/
(33) - La relazione finale della Commissione d'inchiesta sul femminicidio, presieduta da dalla senatrice Francesca Puglisi, è stata presentata in Senato il 5 febbraio 2018. Una nuova Commissione è stata istituita il 16 ottobre 2018.
(34) - I dati e le determinazioni della Commissione sono tratti da M.N. De Luca, Le violenze impunite sulle donne “Archiviata una denuncia su 4”, in La Repubblica del 6 febbraio 2018, p. 17
(35) - Si veda https://www.csm.it/web/csm-internet/norme-e-documenti/dettaglio/-/asset_publisher/YoFfLzL3vKc1/content/risoluzione-sulle-linee-guida-in-tema-di-organizzazione-e-buone-prassi-per-la-trattazione-dei-procedimenti-relativi-a-reati-di-violenza-di-genere-e-do
(36) - Si veda http://www.governo.it/approfondimento/lotta-alla-violenza-sulle-donne-approvato-codice-rosso/10448