Diritto all’ambiente e vita buona

Scritto da: Daniela Bauduin

Aggiornato al: 16/06/2019

Il quadro generale

La traccia del percorso di verifica che ha come punto di riferimento il Rapporto sullo Stato dei Diritti – qui in particolare per quanto riguarda la protezione dell’ambiente – e le raccomandazioni formulate negli anni precedenti, si confronta, nella valutazione degli eventi rilevanti e dell’azione del nuovo Governo 5 stelle-Lega, con il necessario processo di assestamento del quadro normativo delineato dalla Legge 68 del 2015 e dalla Legge 132 del 2016 e, soprattutto, con l’avvio di una nuova legislatura e la formazione di un governo che si richiama a un esplicito cambiamento delle politiche finora seguite dagli altri governi.

Mettendo per un attimo da parte la verifica del processo di assestamento operativo delle nuove norme, pare opportuno delineare i contenuti del cambiamento che il nuovo governo ha dichiarato di perseguire in ambito ambientale, richiamando le dichiarazioni programmatiche dello stesso ministro responsabile.

Nella prima audizione parlamentare del luglio 2018 da parte del Ministro Costa di fronte alla Commissione Ambiente, Territorio e Lavori pubblici (VIII) della Camera dei Deputati, le linee programmatiche del dicastero sono state articolate nei seguenti punti:

  • “proseguire e rendere più ambiziosa la lotta ai cambiamenti climatici attraverso la leva di uno sviluppo diverso basato sulla riduzione, fino all’eliminazione, dei fattori inquinanti;
  • salvaguardare la natura, contrastare la perdita di biodiversità e valorizzare l’acqua come bene comune;
  • impedire il consumo del suolo e prevenire il rischio idrogeologico;
  • assicurare la sicurezza del territorio attraverso la prevenzione, il contrasto dei danni ambientali e la lotta alle “terre dei fuochi”;
  • governare la transizione verso l’economia circolare e rifiuti zero;
  • diminuire fino ad azzerare le infrazioni inflitte dall’Unione Europea all’Italia”.(1)

Ma, fra i contenuti delle linee programmatiche il Ministro si è soffermato sull’attuazione della Legge n. 68 del 2015-“Disposizioni in materia di delitti contro l'ambiente” e sulla necessità di apportare alcuni miglioramenti per evitare il rischio che un reato ambientale venga derubricato a contravvenzione (in particolare abbiamo il reato di cui all'articolo 256 “Attività di gestione di rifiuti non autorizzata” e quello di cui all'articolo 259 “Traffico illecito di rifiuti” del Testo unico ambientale ancora puniti come contravvenzioni). Su questo aspetto si è soffermato. di recente, anche il Procuratore Nazionale Antimafia, Federico Cafiero De Raho, nel corso di un’audizione presso la Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati (29 maggio 2019), il quale confermava la debolezza della norma nei confronti di reati che sono spesso commessi dalla criminalità organizzata, ma non riescono a ricadere all’interno delle competenze dell’Antimafia.

Queste indicazioni segnalano un quadro normativo riferito ai reati ambientali ancora in progress. Accanto alle criticità interpretative della legge 68, alle difformità che intervengono nella prassi operativa e alla necessità di poter disporre di competenze adeguate nel perseguimento dei reati ambientali – già richiamate nel Rapporto sui Diritti dell’anno scorso – si aggiungono altre incertezze che dovranno essere affrontate nel corso della Legislatura.

Sempre in ambito ambientale, i lavori del Parlamento in questi mesi si stanno di nuovo occupando del tema del consumo di suolo - fra l’altro uno dei punti di maggiore rilievo presenti nel Contratto di Programma del Governo giallo-verde per quanto riguarda il capitolo Ambiente, Green Economy e Rifiuti zero - riprendendo il dibattito già sviluppato nella precedente legislatura, ma che non aveva avuto esito dal punto di vista normativo..

Anche questo tema era stato inserito nel “monitoraggio” del Rapporto precedente e ci si era soffermati sui dati pubblicati dall’Ispra da cui emergeva che:

  • il consumo di suolo in Italia continua a crescere, pur segnando un importante rallentamento negli ultimi anni. Nel periodo compreso tra novembre 2015 e maggio 2016 le nuove coperture artificiali hanno riguardato altri 50 chilometri quadrati di territorio, ovvero, in media, poco meno di 30 ettari al giorno;
  • il consumo di suolo è passato dal 2,7% stimato per gli anni ’50 al 7,6% del 2016, con un incremento di 4,9 punti percentuali e una crescita percentuale del 184% (e con un ulteriore 0,22% di incremento negli ultimi sei mesi analizzati). In termini assoluti, il consumo di suolo ha intaccato ormai 23.039 chilometri quadrati del nostro territorio.

In un più recente Rapporto Ispra-Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente, è stato reso noto l’aggiornamento al 2017 della copertura del suolo in Italia(2). Le superfici artificiali e le costruzioni hanno raggiunto la quota del 7,65% del totale della superficie, con un incremento dell’1,09% fra il 2012 e il 2017, mentre arbusti e vegetazione erbacea si sono ridotti rispettivamente del 10,2% e del 4%.

Rispetto al dato nazionale, in alcune regioni la quota di superfici artificiali e costruzioni risulta sensibilmente superiore: la Lombardia è al 12,99%, il Veneto al 12,35%, la Campania al 10,36%. Nel Mezzogiorno solo la Puglia supera la soglia nazionale, mentre al Centro Nord restano al di sotto del dato nazionale il Piemonte, la Valle d’Aosta, il Trentino-Alto Adige, la Toscana, Umbria e Marche.

Attualmente sono in corso di esame presso la Commissione Territorio, ambiente, beni ambientali (XIII) del Senato quattordici disegni di legge riconducibili alla materia del consumo di suolo.

La complessità dell’argomento – al cui interno possono essere ricondotti altri aspetti come la rigenerazione urbana, la valorizzazione dell’agricoltura, il riuso edilizio e urbanistico, il recupero di aree industriali dismesse (e relativi problemi di bonifica), la tutela del paesaggio, il disagio urbano e ambientale, i rischi idrogeologici – impone l’adozione di una legge quadro nazionale che sia in qualche modo coerente con le competenze regionali sulla materia e con le iniziative già intraprese da diverse regioni (Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Liguria, Provincia Autonoma di Trento, Toscana, Umbria).

Inoltre, dal punto di vista economico, un intervento normativo di questo genere crea impatti rilevanti - in termini di opportunità, ma anche di potenziali costi – prevalentemente su settori come le costruzioni e l’agricoltura, che dovranno essere regolati attraverso meccanismi di incentivazione tali da garantire un equilibrio fra vantaggi economici delle imprese e obiettivi collettivi di conservazione della risorsa suolo.

Il mancato risultato della precedente legislatura e la numerosità delle iniziative parlamentari confermano la complessità del tema, mentre il grande interesse che si muove intorno ad esso attesta che si tratta di una partita centrale nello svolgimento della legislatura e nella costruzione di un quadro di riferimento per tutto ciò che riguarderà la gestione sostenibile del territorio.

Una prospettiva importante, dalla quale osservare lo stato di protezione dell’ambiente, è data dalla situazione delle procedure di infrazione che l’Unione Europea ha posto in essere contro l’Italia in campo ambientale e che, come si è visto, rappresenta uno degli ambiti principali delle linee programmatiche indicate dal Ministro Costa.

Su 71 procedure di infrazione attualmente in corso, 16 sono riconducibili alla materia ambientale, che è anche la materia su cui si concentrano più procedure. Di queste, le più recenti (2017-2019) fanno riferimento riciclaggio delle navi, il monitoraggio della qualità delle acque, il trattamento delle acque reflue urbane, biodiversità e condivisione dei benefici che derivano dall’utilizzazione delle risorse genetiche (Protocollo di Nagoya), mentre risalgono a prima del 2010 infrazioni sull’emergenza rifiuti in Campania e la non corretta applicazione delle direttive sui rifiuti e sulle discariche.

E proprio il livello di criticità che ha raggiunto il problema delle discariche abusive in Italia – oggetto fra l’altro della sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 2 dicembre 2014 - ha portato nel 2017 alla nomina del Commissario straordinario per la realizzazione degli interventi necessari all'adeguamento alla normativa vigente delle discariche abusive presenti sul territorio nazionale. Nella relazione trasmessa alle Camere nell'ottobre 2018, il Commissario ha affermato che dei 200 siti da mettere in regola alla data della sentenza della Corte, oggi rimangono ancora da risolvere 55 siti, e che prevedibilmente questi ultimi potranno essere bonificati o messi in sicurezza entro il 2020.

Un altro ambito di forte criticità per il territorio e per l’ambiente è rappresentato dai siti contaminati da attività industriali. Secondo la normativa sono definiti “siti di interesse nazionale (SIN)” in relazione alle caratteristiche del sito, alle quantità e pericolosità degli inquinanti presenti, al rilievo dell’impatto sull'ambiente circostante in termini di rischio sanitario ed ecologico, nonché di pregiudizio per i beni culturali ed ambientali. (Art. 252, comma 1 del D.Lgs. 152/06 e ss.mm.ii.).

Ispra su questo punto riporta sul suo portale informazioni di particolare interesse e riguardanti tutti i 41 siti tuttora in fase di bonifica:

  • superficie complessiva a terra dei SIN pari a 171.268 ettari e rappresenta lo 0,57% della superficie del territorio italiano;
  • estensione complessiva delle aree a mare ricomprese nei SIN è pari a 77.733 ettari;
  • i SIN sono presenti in tutte le regioni italiane ad eccezione del Molise;
  • l’avanzamento complessivo delle procedure a terra per 35 SIN (ad eccezione di 4 SIN con contaminazione prevalente da amianto e dei SIN Bacino del Fiume Sacco e Officina Grande Riparazione ETR di Bologna), per oltre il 60% della superficie sia per i suoli che per le acque sotterranee;
  • gli interventi di bonifica/messa in sicurezza sono stati approvati con decreto in più del 12% delle superfici (17% nel caso delle acque sotterranee) e il procedimento si è concluso nel 15% della superficie complessiva per i suoli e nel 12% per le acque sotterranee.

Fra i siti a maggiore estensione si possono ricordare quello di Casale Monferrato (area ex Piemontese, Eternit) con 74mila ettari di superficie a terra; quello di Cengio in Liguria (riferito allo stabilimento di coloranti dell’ACNA, da cui fuoriuscirono gas tossici nel 1998 e che fu causa dell’inquinamento del fiume Bormida); quello di Priolo in Sicilia (con un impatto sulle acque marine per una superficie di oltra 10mila ettari, oltre a circa 6mila ettari sulla terra); quello del Sulcis-Iglesiente in Sardegna (32mila ettari in mare, poco meno di 20mila a terra).

Nell’elenco è naturalmente presente l’area dell’Ilva di Taranto, oggetto in questi mesi di forti contrasti all’interno del governo e da sempre simbolo della contrapposizione fra obiettivi economici, produttivi e occupazionali, da un lato, e di tutela della salute dei cittadini, dall’altro.

Nella relazione consegnata da Ispra alla X Commissione Permanente-Industria, Commercio e Turismo del Senato (audizione del 13 giugno 2019, avente come oggetto le principali aree di crisi industriale complessa in Italia e l'area di crisi di Taranto, in particolare), si legge: “Nonostante i controlli effettuati alla fonte nel corso del 2018 e nel primo trimestre del 2019 evidenzino un sostanziale rispetto delle prescrizioni autorizzative per quanto riguarda le concentrazioni e i flussi di massa degli inquinanti emessi in atmosfera, permangono le problematiche sull’area connesse all’ordine di grandezza della massa complessiva di inquinanti provenienti dall’intero siderurgico e al recente incremento della frequenza di apertura delle valvole di emergenza «bleeders» dovuto ad eventi accidentali.

Talune condizioni, come ad esempio particolari condizioni meteoclimatiche, variazioni nel tempo dell’intensità delle attività produttive nell’adiacente area industriale, movimentazione di materiali in grado di rilasciare microinquinanti organici sotto forma di particelle aerodisperse sedimentabili correlati con una situazione di inquinamento pregresso presente nell’area, possono dare origine a circostanziate singolarità rispetto a quanto normalmente misurato delle reti di controllo della qualità dell’aria esterne allo stabilimento con particolare riferimento alle reti deposimetriche”.

Attualmente il Ministero dell’Ambiente ha disposto il riesame dell’autorizzazione integrata ambientale (AIA) dello stabilimento siderurgico, “subordinato agli esiti delle valutazioni del danno sanitario elaborate sulla base degli scenari emissivi di riferimento (produzione di 6 milioni tonnellate/anno di acciaio attualmente autorizzata; completamento degli interventi elencati nel DPCM del 29 settembre 2017)”.

Le nostre raccomandazioni e il punto della situazione


Nel precedente Rapporto sui Diritti erano state formulate le seguenti Raccomandazioni:

  • Garantire il funzionamento del nuovo quadro normativo relativo al codice penale ambientale, misurando il grado di efficacia delle norme, superando le criticità interpretative e di prassi esecutiva e assicurando risorse finanziarie adeguate;
  • Rafforzare il piano dei controlli e l’azione giudiziaria di contrasto ai reati ambientali attraverso percorsi formativi specialistici destinati al personale delle Forze dell’Ordine e del Sistema nazionale a rete per la protezione dell’ambiente;
  • Avviare un processo di integrazione dei diversi dispositivi dedicati alla protezione dell’ambiente, eliminando gli elementi distorsivi e in conflitto con le politiche ambientali come la reiterazione di sussidi e incentivi a settori che utilizzano combustibili fossili;
  • Sostenere programmi di informazione e coinvolgimento della cittadinanza di supporto alla funzione repressiva e preventiva delle norme e dei dispositivi finalizzati al contrasto del danno ambientale;
  • Adempiere alle indicazioni contenute nelle procedure di infrazione emanate dalla Commissione europea e relative al superamento dei livelli di tolleranza dell’inquinamento atmosferico nelle aree urbane;
  • Riproporre nella nuova legislatura i contenuti del disegno di legge sul consumo di suolo e riuso del suolo edificato (A.S. 2383), assumendo come impegno imprescindibile l’azzeramento del consumo di suolo entro il 2050.

A un anno di distanza – e con l’avvio di una nuova legislatura e l’insediamento del nuovo governo – è in qualche modo cresciuta la consapevolezza istituzionale nei confronti delle criticità del quadro normativo riguardante i reati ambientali e, nello stesso tempo, può essere riscontrata una maggiore integrazione fra il sistema nazionale dedicato alla protezione dell’ambiente (Ispra, agenzie regionali, ministero) e l’azione della magistratura indirizzata al contrasto dei reati ambientali.

Nel periodo risulta anche maggiore l’impegno alla soluzione di temi complessi con il consumo di suolo (anche se con l’incertezza degli esiti dei dispositivi normativi oggi in esame al Parlamento) o al superamento delle criticità che hanno motivato le procedure di infrazione avviate dall’Unione Europea nei confronti dell’Italia.

Resta quindi necessaria un’azione di monitoraggio e controllo dell’avanzamento su problemi di grande impatto sull’opinione pubblica e sulla qualità stessa della vita dei cittadini.

Consumo irrazionale del suolo, discariche abusive, siti di interesse nazionale ancora da bonificare, così come l’esposizione di ampie fette del territorio ai rischi di dissesto idrogeologico o comunque a eventi estremi di carattere meteorologico, hanno effetti rilevanti che si affiancano e si accompagnano per lungo tempo agli eventi specifici e puntuali o circoscritti ad aree particolarmente vulnerabili.

Questi effetti – soprattutto se cumulati, stratificati o non affrontati tempestivamente e adeguatamente – producono, su tutto, un’indisponibilità all’accesso e all’uso del territorio, limitando di conseguenza la libertà stessa dei cittadini, che vedono intaccato, di fatto, l’esercizio pieno dei propri diritti (si pensi alla salute, in particolare) e subiscono una sottrazione di opportunità che rappresenta il vero costo sociale del mancato presidio dei temi ambientali.


Note

(1) - Audizione del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Sergio Costa, sulle linee programmatiche del suo dicastero. Camera dei Deputati, VIII Commissione Ambiente, Territorio e Lavori pubblici, 25 luglio 2018.

(2) - Ispra- Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente, “Territorio. Processi e trasformazioni in Italia”, dicembre 2018.