Nel 2010 ad Asti alcune famiglie, prevalentemente di migranti e in una situazione di povertà ed emergenza abitativa, riuscivano a trovare alloggio solo grazie all’occupazione, con l’aiuto di associazioni e volontari, dell’ex Mutua ASL, uno stabile inutilizzato da diversi anni. Il 29 novembre 22 persone di queste famiglie, associazioni e volontari, sono state condannate a pene che variano da 1 anno e 2 mesi a oltre 2 anni, e a un risarcimento di circa 18 mila euro. “Una sentenza”, come affermato in un comunicato dalle stesse famiglie e dall’associazione Coordinamento Asti Est, “della serie “se sei povero è colpa tua”, che rafforza il recinto d’illegalità in cui i processi hanno rinchiuso per anni le esperienze delle “occupazioni”, a dispetto del loro valore sociale”. La gravità delle pene sembra connotare la pericolosa deriva securitaria in atto nel nostro Paese nell’affrontare i problemi della precarietà e della povertà che, inevitabilmente, si ripercuotono sulla situazione abitativa, e di cui la città di Asti pare avviarsi a rappresentare un triste laboratorio di sperimentazione. Pochi mesi fa, infatti, un ingente dispiegamento di forze (una quarantina di agenti oltre a diversi mezzi), era utilizzato per sgomberare da una piccola palazzina in cui vivevano da diversi anni, 3 famiglie, in tutto 15 persone di cui 6 minori. L’abnormità che contraddistinse l’intervento, sembra essere la stessa che caratterizza le recenti pene inflitte agli attivisti e alle famiglie per l’occupazione del 2010, e potrebbe essere preludio alla prossima prova di forza istituzionale, ossia l’imminente sgombero dalla stessa struttura occupata, delle 7 famiglie, tutte con minori in età scolare, che vi abitano da anni. Tali sgomberi e condanne sono frutto non solo di un’incapacità politica di affrontare i problemi dell’emergenza abitativa e della povertà, di cui le diverse amministrazioni dovrebbero assumersi le rispettive responsabilità, ma sembrano prendere sempre più i contorni di una vera e propria strategia politica di gestione delle emergenze sociali, avallata e sostenuta da Magistratura e forze dell’ordine, basata sull’uso della forza, sulla criminalizzazione dei bisogni e sulla contrazione dei diritti. E’ una rischiosa deriva che dovrebbe preoccupare ognuno di noi perché, come già si affermava nel “Rapporto sui diritti globali 2015”: “Parlare di penalizzazione e criminalizzazione delle povertà significa non tanto o non solo individuare pochi e ristretti gruppi sociali repressi e oppressi, ma soprattutto individuare una tendenza, sapendo che, se non s’inverte la rotta, è destinata ad allargare la propria platea”.
Rapporto sullo stato dei diritti in Italia