In seguito alla sentenza della Corte d’Appello di Torino, che ha riconosciuto il diritto soggettivo di consumare a scuola il pasto preparato a casa, si è registrato un calo significativo di bambini a Torino (a cui hanno fatto seguito altre città italiane soprattutto al Nord, come Verona, Genova, Milano), che usufruiscono della mensa scolastica. La rinuncia al servizio scolastico della mensa è nata principalmente per l’insoddisfazione per la qualità del servizio a fronte di costi piuttosto elevati per le famiglie. Si pensi che a Torino un buono pasto costa sette euro alla fascia più altra e che la cd. protesta del “panino libero” ha comportato un calo negli ultimi tre mesi del 2016 di un milione di euro alle entrate della Municipalità. Il calo delle iscrizioni al servizio mensa ha infatti subito allarmato gli amministratori locali che lamentano il rischio di una riduzione notevole delle entrate comunali, nonché la compromissione di un modello educativo. Condividere il momento del passo tutti insieme a scuola è stato considerato, dall’introduzione del servizio negli istituti scolastici italiani, come un modo di fare didattica e un importante momento di crescita e di socializzazione per tutti gli alunni. Quindi usufruire collettivamente della mensa è parte del progetto educativo proposto dalla scuola pubblica italiana che ha tra i propri obiettivi raggiungere elevati livelli di socializzazione degli studenti e aumentare la capacità dei singoli alunni di costruire e mantenere relazioni interpersonali positive e costruttive. Modello educativo a cui si contrappone la cd. homeschooling(scuola familiare o parentale) propria della tradizione anglosassone e che in modo crescente sta prendendo piede anche in Italia, diventando un vero e proprio modello alternativo di insegnamento e di educazione.
Rapporto sullo stato dei diritti in Italia