di Ulderico Daniele
Circola ormai da diversi giorni la bozza di quello che sarà il decreto Salvini, ovvero il testo con cui il “governo del cambiamento” intende mettere mano ad una serie di questioni centrali della sua agenda politica: immigrazione, asilo e sicurezza (clicca qui per il decreto Salvini migranti).
Ultimata la redazione, il decreto legge andrà indicativamente in discussione al Consiglio dei Ministri nei prossimi giorni, probabilmente in parallelo con le bozze della legge finanziaria. Il decreto potrebbe quindi funzionare come “arma di distrazione di massa” nelle mani della propaganda social di molti esponenti del governo, visto che nel frattempo gli stessi esponenti politici dovranno discutere e mediare su questioni che potrebbero disilludere, se non scontentare, segmenti importanti dei rispettivi elettorati, come la effettiva implementazione del reddito di cittadinanza e della flat tax o il rispetto dei tanto vituperati vincoli di bilancio imposti dal mostro Europa.
Se questo è l’obiettivo, o almeno uno degli obiettivi, il decreto sarà sicuramente un successo, soprattutto nei confronti dell’elettorato leghista, perché di fatto contiene misure di stampo securitario che riducono drasticamente diritti e opportunità per i migranti, moltiplicano tempi e rischi di carcerazione e, al meglio, complicano procedure.
Fra le diverse misure contenute nel decreto, intendiamo soffermarci sulla cancellazione dell’istituto della protezione umanitaria; non ci concentreremo sulle questioni giuridiche, ma sugli effetti che questa misura avrà nei territori, anche in relazione alle esperienze di lavoro sociale con i richiedenti asilo che in questi anni abbiamo maturato. Si legge nella relazione che accompagna il decreto che la cancellazione della protezione umanitaria discende dalla necessità di una “più efficiente ed efficace gestione del fenomeno migratorio”, gestione che ad oggi sarebbe gravata da una “sproporzione tra il numero di riconoscimenti della protezione interazionale espressamente disciplinate a livello europeo e il numero di rilasci di permessi di soggiorno umanitari (25%, aumentato al 28% nell’anno in corso)”. Insomma, un inatteso riallineamento agli standard europei, che sembra fare il paio con scelte del precedente governo: passano da tre a due le forme di protezione così come erano passati, in sostanza, da tre a due i gradi di giudizio a disposizione dei richiedenti asilo con la legge Minniti Orlando.
Se effettivamente implementata, questa misura avrà una conseguenza diretta e ben visibile nel breve e medio periodo: la diminuzione delle protezioni concesse dall’Italia ai richiedenti asilo e quindi l’aumento del numero degli stranieri privi di permesso di soggiorno che vivono nel nostro paese.
Quanti? Ecco, chiaramente non si può fare una stima certa, ma utilizzando la stessa percentuale di protezione umanitarie concesse per gli scorsi anni riferita dal governo, ovvero il 25% del totale delle richieste, sul totale delle persone attualmente contabilizzate nel sistema di accoglienza, circa 150 mila secondo le stime del Ministero (cifra da ritenersi inferiore al totale dei richiedenti asilo), si arriva ad un totale di circa 30 mila richiedenti asilo in più che alla fine del loro percorso non avranno più alcun titolo legale per rimanere in Italia.
Sì, l’effetto del cosiddetto Decreto Salvini potrebbe consistere in circa 30 mila cosiddetti “clandestini” in più nei nostri territori, perché, lo dice lo stesso Ministro degli Interni, rimandarli a casa loro è, ad oggi, e rimarrà nei prossimi mesi impossibile; o meglio, ad oggi siamo in grado di rimpatriare poche decine di persone al mese. Ma anche perché, aggiungiamo noi, anche l’implementazione delle misure di stampo repressivo e carcerario contenute nella bozza di decreto (raddoppio dei tempi di permanenza nei Centri per il Rimpatrio, previsione della possibilità di trattenere i destinatari di provvedimenti di espulsione in “altra struttura idonea a disposizione delle autorità giudiziarie”, forse i nostrani carceri sovraffollati…) potrà intervenire su una percentuale risibile rispetto al numero dei “nuovi clandestini”.
Insomma, più “clandestini”, molti più “clandestini”. E invece di una “efficace ed efficiente gestione del fenomeno migratorio”, avremo più persone e corpi senza diritti, spinti verso lo sfruttamento e la nuova schiavitù, resi disponibili alle organizzazioni criminali nostrane e internazionali. In barba alla sicurezza.
Una seconda conseguenza della cancellazione della protezione umanitaria riguarda il tema dell’inserimento sociale dei richiedenti asilo ed il lavoro di tanti operatori ed organizzazioni che su questo si spendono e ragionano da tempo. Il decreto contiene già alcuni elementi di una riorganizzazione della filiera dell’accoglienza che, insieme ad altre iniziative dello stesso Ministero, porterà nei prossimi mesi allo smantellamento del sistema vigente e alla sua riorganizzazione in termini decisamente minimali. Saranno cioè depotenziate le esperienze di accoglienza diffusa, sia quelle del sistema SPRAR che quelle nate all’interno dell’accoglienza straordinaria, e sarà invece rafforzato il modello delle grandi strutture, luoghi di concentrazione che interrogano anche le responsabilità del terzo settore, perché saranno forntiti soltanto i servizi essenziali a garantire la “nuda vita” degli ospiti, con impatti forti, e non certo positivi, sui territori e le società locali.
In questo quadro, la cancellazione dell’istituto della protezione umanitaria elimina una delle poche vie che gli operatori dell’accoglienza hanno in questi anni utilizzato parallelamente alla strada maestra della richiesta di asilo, ovvero la possibilità di ottenere un permesso di soggiorno premiando il positivo percorso di integrazione dei richiedenti asilo. Su questa procedura si è a lungo discusso, soprattutto da un punto di vista giuridico (ad esempio qui e qui), perché, occorre riconoscerlo, lavora sul margine della legislazione, segnalandone una delle criticità: l’assenza di meccanismi che permettano la regolarizzazione per coloro i quali sono riusciti a costruirsi autonomia e stabilità economica.
Su questo margine, diversi operatori dell’accoglienza hanno costruito quelle che davvero andrebbero riconosciute come buone prassi, buone per i beneficiari e buone per la nostra società: si pensi ad esempio a quei percorsi di inserimento sociale dei richiedenti asilo partiti con l’impegno nel volontariato e proseguiti con l’attivazione di tirocini formativi, oppure si pensi ai tanti casi di vero e proprio inserimento lavorativo regolare, con contratti stipulati anche grazie alla presenza e al lavoro di operatori e organizzazioni solidali. Si tratta di piccole ma diffuse esperienze che, come noi stessi possiamo testimoniare, si costruiscono con l’attivazione delle realtà territoriali, amministrazioni, volontariato, imprese. In questi casi, la possibilità di ottenere un permesso umanitario ha rappresentato lo strumento legale grazie al quale un richiedente asilo è potuto diventare un cittadino regolarmente residente, ovvero un lavoratore che paga le tasse, ovvero una persona autonoma e indipendente che non costa al sistema d’accoglienza ma produce ricchezza nei nostri territori e che spende parte del suo reddito negli stessi territori. Insomma, una risorsa invece di un costo, un cittadino regolarmente residente in luogo di un potenziale straniero privo di titolo di soggiorno. Dicevamo più clandestini, dobbiamo aggiungere meno integrazione. Potremmo aggiungere più illegalità, più sfruttamento e insicurezza sociale. A questo punto la domanda sorge spontanea, ma forse retorica: perchè un governo “del cambiamento” dovrebbe incentivare questo tipo di trasformazioni? A quali segmenti della nostra società giova una società del genere?