Il Comitato Onu sui Diritti delle Persone con Disabilità, nelle sue Osservazioni Conclusive al primo Rapporto Ufficiale italiano sull’implementazione della Convenzione ONU (Legge 18/2009), ha espresso chiaramente le sue preoccupazioni per l’attuale “tendenza a re-istituzionalizzare le persone con disabilità e per la mancata riassegnazione di risorse economiche dagli istituti residenziali alla promozione e alla garanzia di accesso alla vita indipendente per tutte le persone con disabilità nelle loro comunità di appartenenza”. Su questo tema nell’edizione 2015 del “Rapporto sullo stato dei diritti”, era stata proposta una riflessione: “Analizzando i dati del rapporto annuale ISTAT 2014 “La situazione del paese”, è possibile rilevare come, a livello nazionale, sulla tipologia di prestazioni rivolte alle persone con disabilità, la spesa comunale per l’assistenza domiciliare (233.579.636 euro) sia significativamente inferiore a quella destinata alle strutture residenziali (264.224.520 euro), cui si deve aggiungere la compartecipazione degli utenti (51.629.262 euro, per una compartecipazione media per utente pari a 2.326 euro) e quella del Servizio Sanitario Nazionale (86.702.108 euro). Tale scarso investimento, sembra, sempre in termini di allocazione di risorse disponibili, difficilmente giustificabile guardando alla spesa media per utente con disabilità che è di circa 3.478 euro annui in assistenza domiciliare socio-assistenziale rispetto agli 11.903 euro in struttura residenziale. Eppure il ricorso all’istituzionalizzazione sembra essere la principale prospettiva d’investimento nel nostro paese, come confermano i dati di un’indagine dell’AUSER riguardante il 2012, in cui si evidenziava come il mercato italiano delle residenze sanitarie assistenziali (RSA) fosse progressivamente in aumento nel nostro Paese, con un valore di circa 2,8 miliardi l’anno e con una presenza in crescita di operatori privati, per i quali il tema dell’“istituzionalizzazione” è un’importante variabile economica. Parallelamente alla crescita d’investimenti economici dobbiamo registrare diverse azioni “politiche” che sembrano puntare decisamente sullo sviluppo di un sistema di servizi basato principalmente su grandi strutture residenziali con il conseguente rischio di derive istituzionalizzanti”. La questione della verifica e del monitoraggio della qualità e delle condizioni di vita delle persone che vivono in strutture residenziali è stata, inoltre, oggetto di una recente Conferenza di Consenso “Disabilità: riconoscere la segregazione”, promossa dalla FISH e patrocinata da ANCI, Confcooperative Federsolidarietà e Lega delle Cooperative, svoltasi il 15/16 giugno a Roma. Nel corso dei lavori si è evidenziato come, secondo una rielaborazione dei dati ISTAT 2013, siano “273.316 le persone con disabilità ospiti dei presidi residenziali socio-assistenziali e socio-sanitari. Oltre l’83% sono anziani non autosufficienti, che nella quasi totalità dei casi vivono in strutture che non riproducono le condizioni di vita familiari. Nel 2016, tra le violazioni penali più frequenti, l’Arma dei Carabinieri rileva 114 casi di maltrattamenti, 68 di abbandono d’incapace, 16 di lesioni personali e 16 di sequestro di persona”. Si è rilevato, inoltre, come la “segregazione” non si risolve nelle sue forme più appariscenti e brutali, bensì riguarda anche “la separazione, l’isolamento, la contrazione delle elementari libertà individuali. Servizi in cui prevale una concezione sanitaria e ospedaliera che trasforma chi ne è ospite in “paziente”, “malato” e non più persona con il diritto di vivere normalmente la sua vita e le sue relazioni interpersonali”. (Senza dimenticare, tuttavia, che anche la presenza di barriere e la mancanza di sostegni, di cure, di assistenza, di ausili, di progettualità di vita e di prospettive per il futuro, costringono le persone con disabilità, e i loro famigliari, a forme speculari e, spesso, invisibili di segregazione e isolamento domiciliare). Anche su quest’aspetto il Comitato ONU nelle Osservazioni Conclusive, ha espresso chiaramente le sue preoccupazioni evidenziando, in particolare, il fatto che “la delega di mandato del Meccanismo Nazionale di Prevenzione (MNP) non si estende alle istituzioni psichiatriche o altre strutture residenziali per persone con disabilità dove esse vengono private della loro libertà”. Una nota positiva in tal senso potrebbe essere rappresentata dal Garante Nazionale delle persone detenute o private della libertà (Istituito con un decreto legge alla fine del 2013, diventa operativo solo a marzo del 2016), che nella Relazione al Parlamento presentata il 21 marzo 2017, specifica come la sua attività sia rivolta “non solo ai luoghi che ospitano persone sottoposte a effettiva privazione della libertà, seppure per brevi periodi, ma altresì alle strutture residenziali (social health care) che ospitano persone che volontariamente hanno scelto di farsi curare o assistere quotidianamente da una struttura pubblica o privata e la cui volontà è andata ad affievolirsi, per una molteplicità di situazioni contingenti, fino a configurarsi, di fatto, come forma di privazione della libertà. Il tema acquista un rilievo etico particolare per due ragioni: la prima perché le persone presenti nelle strutture residenziali sono in genere persone ad alta vulnerabilità (anziani o i disabili), a elevato rischio di essere soggette all’uso improprio di pratiche coercitive o all’incuria del personale; la seconda ragione è per la responsabilità dello Stato sulla tutela dei diritti di queste persone”.
Rapporto sullo stato dei diritti in Italia