E’ all’esame del Senato, in seconda lettura, il disegno di legge europea, che contiene al suo interno una disposizione importante sulla conservazione, per fini di giustizia, dei dati di traffico telefonico e telematico. La norma – derivante dall’approvazione, alla Camera, di un emendamento del deputato Verini- stabilisce che i dati di traffico telefonico, telematico e relativi alle chiamate senza risposta, già legittimamente detenuti dai gestori alla data della sua entrata in vigore, siano conservati per sei anni, in deroga al regime ordinario previsto dal Codice privacy (che prevede quale durata della conservazione: un mese per le chiamate senza risposta, un anno per i dati di traffico telematico e due anni per i dati di traffico telefonico).
Si tratta del secondo intervento in due anni (dopo il decreto-legge antiterrorismo del 2015) volto a estendere, in misura peraltro significativa, la durata della conservazione dei tabulati (relativi alle utenze di tutti i cittadini), per consentirne l’eventuale acquisizione nell’ambito di procedimenti penali per reati di terrorismo o criminalità organizzata. Benché, dunque, la concreta acquisizione in giudizio dei dati di traffico riguardi soltanto gli indagati (peraltro, per questo tipo di reati), la misura in realtà interessa tutti, in quanto la conservazione riguarda i tabulati relativi alle comunicazioni di ciascun cittadino, in vista appunto di un’utilizzazione soltanto futura ed eventuale.
Proprio per il carattere massivo e generalizzato di questa misura (che dunque incide sulla privacy di chiunque), la Corte di giustizia europea, in due sentenze (dell’aprile 2014 e del dicembre 2016) aveva ribadito la necessità di limitare tale strumento investigativo a quanto strettamente necessario per esigenze di contrasto di gravi reati e nei confronti di soggetti attinti da indizi di reità, commisurando i termini di conservazione in misura congrua e comunque non eccessiva, differenziandoli in ragione del tipo di dato considerato e delle specifiche esigenze d’indagine, assicurando in ogni caso il controllo del giudice o di un’Autorità indipendente sulle modalità della loro utilizzazione. Con la prima sentenza, la Corte ha addirittura invalidato la direttiva europea stessa che disciplinava la misura, ritenendo in particolare incompatibile con il principio di proporzionalità tra privacy ed esigenze investigative il termine massimo di conservazione di due anni, lì indicato in via generale.
La scelta italiana di estendere (in misura addirittura tripla rispetto al termine dichiarato eccessivo dalla Corte di giustizia) la durata della conservazione dei tabulati appare dunque poco compatibile con i principi europei e non giustificabile in base a presunte esigenze straordinarie, soprattutto considerando che si tratta del secondo intervento dello stesso tenore in due anni. Ancor più singolare appare, allora, l’inserimento di questa norma nel disegno di legge europea, che dovrebbe garantire la conformità dell’ordinamento interno alla disciplina Ue.
Rapporto sullo stato dei diritti in Italia