Di Valentina Calderone - Direttrice di A buon Diritto
La vicenda dello sgombero del Cara (centro di accoglienza per rifugiati e richiedenti asilo) di Castelnuovo di Porto suscita più di qualche perplessità. Senza avere alcuna intenzione di difendere un luogo che presentava molti problemi, sia dal punto di vista strutturale che dell’isolamento rispetto al centro abitato, quello su cui sembra importante porre l’attenzione sono le modalità con cui si è deciso di chiudere il centro e trasferire gli oltre 500 ospiti. La cooperativa Auxilium, ente gestore del Cara, aveva un contratto in proroga con scadenza il 31 gennaio 2019 ma, nonostante chi di competenza fosse a conoscenza della volontà di non prorogare ulteriormente l’affidamento, tutta l’operazione di trasferimento è stata organizzata in meno di dieci giorni. Da quanto abbiamo potuto apprendere dai colloqui avuti sia con gli ospiti sia con gli operatori della cooperativa, la vicenda ha presentato gravi lacune amministrative e, soprattutto, la gestione dello sgombero è stata fatta senza prestare alcuna attenzione alle persone che, chi più e chi meno, consideravano quel posto come la loro casa. Nonostante la legge preveda la sussistenza di motivate ragioni e il diritto della persone a ricevere comunicazione dell’esatto indirizzo di destinazione, niente di tutto ciò è stato rispettato. Il dipartimento libertà civili e immigrazione del ministero dell’Interno ha comunicato i “numeri” di quanti dovevano essere trasferiti: 50 persone in Piemonte, 40 in Emilia Romagna, 30 in Abruzzo… e così via. Nessuna indicazione da parte del ministero sui nomi delle persone coinvolte, nessuna valutazione, quindi, sulle loro storie personali, sui percorsi intrapresi, sui legami stabiliti. Delle loro volontà e aspirazioni, ovviamente, neanche a parlarne. Trattati come dei pacchi - con la differenza che su questi ultimi si scrive almeno l’indirizzo - queste persone sono state sradicate da un giorno all’altro, messe su un pullman e fatte partire verso destinazioni ignote. Quasi 450 persone frequentavano la scuola, molti facevano sport, lavoravano ed erano coinvolti in attività di volontariato insieme ai cittadini di Castelnuovo di Porto. La grande solidarietà manifestata dagli abitanti dimostra un coinvolgimento attivo dei cittadini, anche grazie all’intelligenza dell’amministrazione locale che evidentemente ha saputo attrarre risorse e competenze e permettere un effettivo scambio e una vera conoscenza tra i nativi e i nuovi arrivati. D’altra parte, sicuramente, c’è la forte preoccupazione per la possibile perdita di 120 posti di lavoro, molti dei quali erano occupati proprio da abitanti del luogo. Quello che è importante monitorare adesso, a pochi giorni dalla fine di questa operazione, è il destino delle persone coinvolte nei trasferimenti. Quasi trecento di loro hanno un procedimento aperto presso il tribunale di Roma relativamente alla richiesta di protezione internazionale, alcuni avevano già la data dell’audizione in Commissione territoriale per la domanda d’asilo, altri attendevano notifiche di documenti importanti. Chi ha pensato a salvaguardare i percorsi già intrapresi da queste persone? Chi si occuperà di far rispettare il diritto a seguire da vicino le loro pratiche legate alla possibilità di ottenere il permesso di soggiorno? Speriamo di essere smentiti dai fatti, ma l’impressione è che questa modalità di sgombero segua una logica ben precisa: disperdere le persone sul territorio, far perdere le loro tracce, impedirgli di fare tutto il possibile per avere un documento. Una grande operazione per agevolare e ingrossare le file dell’irregolarità, ecco cosa ci è sembrato lo sgombero del Cara di Castelnuovo di Porto.