A fronte degli abusi frequentemente verificatisi, nel nostro Paese, in danno di persone sottoposte a misure limitative della libertà e dopo decenni di inerzia, la Camera dei deputati ha approvato, il 5 luglio, con 198 voti favorevoli, 35 contrari e 104 astenuti, la legge sulla tortura. E’ un provvedimento del tutto inadeguato a soddisfare quello che è l’unico obbligo, sancito in Costituzione, di tutela penale, ovvero l’incriminazione della tortura.
Nelle successive letture parlamentari, infatti, quello che nasceva- nella forma presentata dal sen. Manconi - come un ottimo testo, del tutto conforme alle convenzioni internazionali in materia, è stato sensibilmente peggiorato. Anzitutto il reato è configurato, diversamente dalla maggior parte delle convenzioni internazionali, come reato comune (dunque realizzabile da chiunque e solo aggravato ove l’autore sia un soggetto pubblico), con ciò indebolendo molto la valenza anzitutto simbolica di questa norma, che nasce anche storicamente come sanzione dell’abuso commesso sul cittadino da chi, rappresentando lo Stato, ne eserciti il potere coercitivo. Ma il testo è peggiorato, nel corso dell’esame parlamentare, anche e soprattutto per la molteplicità dei requisiti di volta in volta aggiunti per l’integrazione della fattispecie, affetta così da una sorta di “gigantismo” che rischia di renderne l’applicazione estremamente difficile e comunque residuale.
In primo luogo, infatti, si introduce una condizione obiettiva di punibilità tale da limitare l’applicabilità della norma ai soli casi nei quali la tortura sia prodotta da una pluralità di condotte”. Oltre a rendere più difficile la prova del reato, ciò significa, dunque, che la dignità può dirsi violata solo se lo sia ripetutamente. In alternativa alla pluralità di condotte, il comportamento dell’agente deve aver determinato un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona.
Oltre a ciò, si dovrà provare che l’autore abbia agito “con crudeltà”, il che è alquanto complesso vista la difficoltà di dimostrazione del movente psicologico. Perché il reato sussista, esso dovrebbe produrre, se non “acute sofferenze fisiche” un “verificabile trauma psichico”: anche in questo caso l’onerosità della prova rischia di vanificare l’applicazione della norma. Tra le possibili relazioni di soggezione che devono caratterizzare il rapporto tra vittima e autore scompare l’affidamento all’altrui “autorità”, escludendosi così quelle situazioni (proprio le più problematiche) in cui la vittima non è stata ancora sottoposta a un provvedimento formale di custodia o, peggio, nei suoi confronti sia stato adottato un atto illecito. Si rischia così di privare di tutela proprio le vittime soggette a un potere tanto più pericoloso quanto più informale o addirittura abusivo.
Si precisa peraltro che, al fine di integrare gli estremi del delitto di tortura, le sofferenze causate alla vittima non devono risultare “unicamente dall’esecuzione di legittime misure privative o limitative di diritti”. Benché ovviamente tese a evitare la qualificazione come tortura della fisiologica esecuzione della pena o della misura coercitiva, nella sua inevitabile afflittività, tale clausola rischia di prestarsi a un uso strumentale da parte di difese spregiudicate, con il rischio di depotenziare la norma.