Pubblichiamo di seguito le opportune riflessioni di Stefano Anastasia sulle inziative propagandistiche dei Ministri dell'interno e di Giustizia a seguito della cattura e del trasferimento in Italia di Cesare Battisti avvenuti tra il 13 gennaio e il 14 gennaio.
Il tripudio di immagini e dichiarazioni per la traduzione in Italia e poi in carcere di una persona condannata per quattro omicidi compiuti quarant'anni fa non ha eguali, né giustificazioni. Non ha eguali la scena allestita nell'aeroporto di Ciampino, come se si dovesse dar notizia di un colpo mortale inferto a una pericolosa organizzazione criminale che sta mettendo a rischio la sicurezza del Paese, mentre si trattava della estradizione annunciata di un signore di una certa età, arrestato qualche giorno fa per fatti, appunto, risalenti al secolo scorso.
Quasi una non notizia, insomma. Né ha giustificazioni lo spreco di risorse di polizia impiegate e l'esibizione pubblica dell'immagine del condannato che, come ricorda giustamente l'associazione Antigone, è vietata dall'art. 114 del codice di procedura penale e dall'art. 42bis dell'ordinamento penitenziario.
Men che meno è giustificabile, ancora una volta, il linguaggio del ministro dell'Interno,che ha usato parole indegne della carica che ricopre. La Costituzione afferma che "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato".
È ben vero che il Ministero dell'Interno non ha competenze nell'esecuzione delle pene, ma un ministro che auspica a un condannato di "marcire in galera" tradisce la lettera e lo spirito della Costituzione su cui ha giurato.
Dismesso il teatrino di Ciampino, Cesare Battisti è nelle mani dell'Amministrazione penitenziaria e della Magistratura di sorveglianza. Sconti pure la sua pena, dunque, ma secondo legge e Costituzione, al riparo dagli usi populistici della giustizia penale.