I diritti e l'alibi della sicurezza

pubblichiamo integralmente l'intervento del procuratore Armando Spataro pubblicato il 1 febbraio su "La Repubblica" che motiva con estrema chiarezza perchè è illeggittimo sacrificare i diritti fondamentali della persona in nome della cosiddetta "sicurezza"

1 Febbraio

La sicurezza, sbandierata come priorità assoluta, costituisce ormai un brand da diffondere a scopo pubblicitario. Fu così ai tempi della war on terror, che - come spiegò Bauman - consentì di introdurre negli Stati Uniti ed altrove (ma non in Italia), in nome del contrasto del terrorismo, norme e prassi in qualche modo limitanti i diritti dei cittadini ma da loro tollerate.

E così avviene adesso in Italia per fronteggiare i problemi del fenomeno migratorio: la soluzione ideale è diventata, in nome appunto della sicurezza, quella di non far arrivare migranti in cerca di protezione o, se già accolti, di sbarazzarsene nel maggior numero possibile. Una logica, purtroppo ormai propria anche di altri Stati europei, che si tenta di rafforzare con affermazioni allarmanti: le Ong vengono accusate di complicità o tolleranza nei confronti dei trafficanti di essere umani, al fenomeno migratorio si addebitano rischi di proliferazione del terrorismo, del traffico di armi, di stupefacenti, petroli e opere d'arte.

Spunta fuori la notizia di fonte ignota secondo cui, a bordo della "Diciotti", potevano esserci terroristi. E i centri accoglienza diventano strumenti di illeciti guadagni, se non - addirittura - obiettivi di strategie mafiose. Ma le cose stanno proprio così? La risposta è "no", con una preliminare osservazione: criminali e reati possono purtroppo annidarsi dovunque, anche nelle istituzioni e persino in quelle preposte a perseguirli.

Ed i responsabili, quando scoperti sulla base di prove sicure, vanno ovviamente perseguiti con la durezza necessaria. Ma è ingiusto attribuire ai migranti le colpe degli scafisti che li sfruttano - così confondendo vittime e colpevoli - e alle Ong una sorta di "concorso esterno". La balla dei terroristi sui barconi è addirittura clamorosa ed è stata ormai disattesa anche nel resto d'Europa: si può immaginare che chi vuole uccidere e farsi esplodere accetti di morire nel Mediterraneo, avendo peraltro la possibilità di servirsi di mezzi e percorsi più sicuri? Sono in corso inchieste in Italia su tali ipotesi (una a Napoli e l'altra a Palermo) e in attesa della loro definizione può solo dirsi che riguardano poche persone.

A Milano, fu provata la falsità dell'accusa a un giovane marocchino immigrato di avere partecipato alla strage del Bardo del 2015, mentre il tunisino Anis Amri, autore della strage di Berlino del dicembre 2016, risultò radicalizzato in Italia ben dopo il suo arrivo e comunque scollegato da contesti associativi. Quanto ai traffici illeciti, non vi è prova nel contesto italiano di movimentazioni di petrolio, armi ed opere d'arte ad opera di scafisti.

La tratta di persone, i traffici di stupefacenti e le attività di associazioni criminali a ciò finalizzate sono invece reati da sempre efficacemente perseguiti dalle procure italiane competenti, ma gli imputati non sono certo coloro che, sfruttati, viaggiano verso una speranza di vita. E comandanti ed equipaggi delle navi delle Ong, quando salvano i migranti che affollano i gommoni, non sono certo concorrenti nel reato di immigrazione illegale (per sua natura nascosta) addebitabile agli scafisti: come può esserlo chi si rivolge agli stati costieri per approdare nei porti sicuri in nome di convenzioni e principi internazionali?

E venendo alla gestione dei centri di accoglienza, i problemi non riguardano solo i criminali che tentano di lucrare sulle loro meritevoli attività, ma anche la necessità che il trattamento riservato a chi vi è ospitato sia dignitoso e mai degradante, come potrebbe essere quello di migranti forzosamente ammassati in condizioni da "prigione amministrativa".

In definitiva, si lasci indagare chi ha l'obbligo di farlo, senza ingiustificata enfatizzazione del tema della sicurezza, che non vince sui diritti fondamentali e deve essere assicurata dai competenti organi amministrativi, senza intrusioni di campo e sollecitazioni improprie ad altri poteri costituzionali.

Salvo che non ci si voglia conformare anche in Italia alla teoria dell'"esecutivo unificato", ben illustrata nel film "Vice - L'uomo nell'ombra" di Adam McKay sulla storia di un potente vice presidente degli Stati Uniti, Dick Cheney: una teoria secondo cui il governo può stabilire procedure senza tener conto degli altri poteri. In fondo già qualcuno in Italia ebbe a dire non molti anni fa che l'essere legittimati dal voto a governare pone gli eletti in condizione di insindacabilità da parte dell'ordine giudiziario i cui componenti sono semplici vincitori di un concorso! Una visione del potere che da noi spesso ritorna.

*Procuratore capo presso il Tribunale di Torino

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