Il Garante nazionale delle persone private della libertà sui diritti dele persone con disabilità

Il garante deelle persone private della libertà nella sua relazione annuale ha dedicato anche un ampio spazio ai diritti delle perosne con disabilità. La connotazione plurima dell’incarico del Garante infatti, che discende da queste premesse, non solo giustifica, ma rende necessario un impegno e un’attenzione anche in aree che tradizionalmente non erano ritenute di sua stretta competenza, quali quelle relative alle persone con disturbi psichiatrici, alle persone anziane e alle persone con disabilità. Proprio a queste ultime e alle loro aspettative è dedicato il primo capitolo tematico della Relazione, che per il Garante ha uno dei suoi fulcri nella parola “attesa”: “L’attesa del mondo della disabilità è stata centrata nella fiducia in una Istituzione nuova, il Garante nazionale, che ha assunto l’impegno di monitorare il variegato mondo delle strutture per persone vulnerabili e di indirizzare un occhio esterno verso luoghi capillarmente sparsi nel territorio del Paese e a volte poco trasparenti.

Il 15 giugno Mauro Palma, il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, al termine del suo secondo anno di attività ha presentato al Parlamento la Relazione riguardante il periodo compreso tra marzo 2017 e aprile 2018. Nel corso del suo intervento il Garante ha chiarito i termini del suo incarico, a partire dalla definizione della situazione di “privazione della libertà”: “spesso il confine tra ‘privazione’ e ‘restrizione’ o ‘limitazione’ della libertà è incerto. Infatti, gli elementi limitanti possono essere tali da configurare di fatto una situazione privativa: o perché cause contingenti possono far sì che una persona, per esempio, inizialmente ospitata in una struttura di natura assistenziale sia successivamente lasciata in essa in condizioni che oggettivamente non le consentono il libero movimento o, in ambito diverso, perché le restrizioni poste in una struttura di accoglienza e controllo determinano di fatto la non determinazione del proprio muoversi da parte degli ospiti. Per questo, l’occhio del Garante non deve soltanto rivolgersi alle classificazioni istituzionali delle situazioni che sono oggetto delle sue visite e del suo monitoraggio, bensì anche al loro svolgersi concreto, alla quotidianità che in esse si realizza e alla situazione che nel concreto si determina. […] Così, quindi, in linea con quanto previsto da Convenzioni internazionali, l’occhio e l’azione del Garante devono rivolgersi alle situazioni che de facto si determinano relativamente alla libertà di movimento delle persone e non soltanto a quelle che de iure sono definite come strettamente detentive”. La connotazione plurima dell’incarico del Garante, che discende da queste premesse, non solo giustifica, ma rende necessario un impegno e un’attenzione anche in aree che tradizionalmente non erano ritenute di sua stretta competenza, quali quelle relative alle persone con disturbi psichiatrici, alle persone anziane e alle persone con disabilità. Proprio a queste ultime e alle loro aspettative è dedicato il primo capitolo tematico della Relazione, che per il Garante ha uno dei suoi fulcri nella parola “attesa”: “L’attesa del mondo della disabilità è stata centrata nella fiducia in una Istituzione nuova, il Garante nazionale, che ha assunto l’impegno di monitorare il variegato mondo delle strutture per persone vulnerabili e di indirizzare un occhio esterno verso luoghi capillarmente sparsi nel territorio del Paese e a volte poco trasparenti. Sono luoghi in cui accudimento e controllo si confondono frequentemente. Luoghi certamente noti alla rete degli affetti di chi vi è ospitato e al variegato mondo del volontariato; ma molto meno alle Istituzioni, forse proprio per la supposta residualità del ruolo sociale delle persone che vi risiedono; le quali vi entrano spesso volontariamente, ma nel tempo rischiano, per una serie di imprevedibili fattori, di divenire di fatto private della libertà”. Il Garante ha voluto dare un segnale forte in tal senso, inserendo come primo capitolo tematico della Relazione proprio quello relativo a “Disabilità e inclusione”, argomento che è affrontato a partire dalle seguenti premesse: “La disabilità trova la propria origine nei diversi contesti al cui interno agiscono gli individui, in quanto è prodotta dalla mancata considerazione delle persone con disabilità come soggetti presuntivamente capaci d’agire, nonché dalla presenza di molteplici barriere (culturali, fisiche, ambientali, istituzionali, etc.) che impediscono loro la piena partecipazione su basi di eguaglianza con gli altri attori sociali. Secondo questa prospettiva, la disabilità smette di essere un problema individuale sul quale intervenire, al più, attraverso la cura e la riabilitazione, e diviene piuttosto un tema da affrontare politicamente e giuridicamente, al fine di rimuovere quelle barriere che impediscono alle persone con disabilità l’esercizio dei propri diritti”. In relazione a tutto ciò, per il Garante è, quindi, fonte di preoccupazione aver rilevato, in diverse parti d’Italia, l’emergere sempre più diffuso di: “sintomi di “sanitarizzazione” dell’assistenza dettati dalla mancata attivazione o dal mancato coordinamento di supporti per il vivere nel proprio contesto abitativo e sociale abituale”. E’ particolarmente significativo, inoltre, il riferimento alla recente istituzione del Dicastero sulla disabilità che, per contrastare e non assecondare tali rischi, dovrebbe avere come compito centrale il lavorare per: “una accelerazione nel processo d’integrazione dei relativi problemi all’interno del quadro complessivo della tutela dei diritti di tutti e non come separazione da quest’ultimo”. Garantire alle persone con disabilità i diritti di tutti, questa è la sfida centrale, riconoscendo anche che, come evidenziato nel nostro Memorandum di Legislatura, “le persone con disabilità sono ancora costrette a vivere pesanti discriminazioni che, spesso, derivano da atteggiamenti, dinamiche e prassi consolidate nel corso degli anni e da comunicazioni e dichiarazioni spesso stigmatizzanti. Per contrastare questi fenomeni, che hanno profonde radici culturali e sociali, è importante e urgente l’avvio di “una battaglia culturale, una pratica educativa, una tensione morale” (Rodotà), che dovrebbero caratterizzare e orientare l’impegno politico e istituzionale per la realizzazione di una società realmente inclusiva, in cui sia riconosciuto il valore del contributo di ciascuno e in cui siano garantiti il pieno godimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali per tutti i cittadini”. Proprio sull’aspetto culturale si sofferma anche il Garante nel concludere il proprio discorso al Parlamento: “Nessuna azione di monitoraggio o di prevenzione può essere scissa dal fornire un contributo alla crescita culturale. Perché la democrazia la si costruisce nelle Istituzioni, nelle culture diffuse, ancor prima che nell’utilizzo di strumenti di controllo e di sanzione. […] Perché il nostro lavoro è innanzitutto contribuire a far evolvere ciò che comunemente chiamiamo ‘senso comune’ attorno ai difficili temi di cui ci occupiamo. In questo l’azione del Garante deve trovare una sintonia con i luoghi della decisione politica, perché quest’ultima non si costruisce nell’inseguimento di una presunta opinione pubblica. Si costruisce a volte anche in conflitto con essa per il ruolo ‘maieutico’ che è proprio della politica. La politica non insegue, ma indirizza e se tale ruolo viene meno, questo rischia di essere impropriamente affidato ad altri attori della relazione che lega chi ha responsabilità e chi pone necessariamente domande”.

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