Le norme governative sulla legittima difesa

L'ennesima riforma della legittima difesa, votata dalla maggioranza sulla base delle pressioni della Lega e contestata in aula e fuori dalla stessa Lega, che ne voleva di più.

Legittima difesa. Nel passaggio all’esame del Senato, non ci resta che sperare nella rapida eutanasia della legislatura il commento di Stefano Anastasia sul Manifesto del 5 maggio

E alla fine si dovrà dar ragione a chi, all’indomani del referendum costituzionale, voleva andare a votare subito. Ma non perché non ci fosse necessità di riformare la zoppicante legislazione elettorale o di portare a compimento qualche sacrosanta riforma rimasta impigliata nelle maglie di un governo di piccola-grande coalizione.

No, semplicemente perché le legislature morenti danno il peggio di sé: le forze politiche sentono il fiato sul collo delle ormai prossime elezioni e conducono una surrettizia campagna elettorale votata al primato di chi la spara più forte, incentivando i peggiori sentimenti popolari e producendo abnormità giuridiche.

Così, da ultimo, sulla ennesima riforma della legittima difesa, votata dalla maggioranza sulla base delle pressioni della Lega e contestata in aula e fuori dalla stessa Lega, che ne voleva di più.

Ovviamente il nostro ordinamento giuridico, come qualsiasi ordinamento giuridico che si rispetti, riconosce la legittima difesa come causa di giustificazione (e dunque di non punibilità) di un comportamento altrimenti considerato delittuoso. Perché la giustificazione del fatto delittuoso possa essere considerata legittima, l’autore deve esserci stato costretto (e dunque non deve avere avuto altre possibilità che quella) per difendere un diritto proprio o altrui, da un pericolo che si stia manifestando nel preciso momento in cui il fatto che si vuole giustificare viene compiuto e sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa che si vuole evitare. Queste norme, vigenti dal fascistissimo codice Rocco del 1930, erano già sufficienti a giustificare una difesa proporzionata all’offesa che una persona, i suoi familiari, i suoi vicini di casa o un passante fosse in pericolo di subire, tanto più che la giurisprudenza aveva da tempo riconosciuto che in circostanze del genere l’aggressore ha diritto a una tutela minore rispetto all’aggredito.

Ciò nonostante, nel 2006 (governo Berlusconi, Ministro Maroni, e – anche allora – legislatura in scadenza) il Parlamento aveva già modificato il codice penale, qualificando come legittima la difesa con armi proprie o improprie in caso di violazione del domicilio o del luogo di lavoro, quando si cerchi di difendere la propria o altrui incolumità o ci sia un pericolo di aggressione. Fuori da questi già ampi casi non c’è altro che proposte miranti a giustificare gravi reati contro la persona commessi da parte di chi non stia rischiando di subirne di analoghi. Fuori da questi casi c’è solo la ricorrente tentazione di consentire forme di giustizia sommaria inaccettabili in uno stato di diritto, anche quando siano mascherate sotto fumose condizioni determinate da un «grave turbamento psichico», magari alimentato dall’oscurità (la notte buia e tempestosa …).

Brutta proposta, dunque, quella approvata ieri dalla Camera. E ciò nonostante attaccata da chi vorrebbe una più ampia licenza di uccidere. Nel passaggio all’esame del Senato, non ci resta che sperare nella rapida eutanasia della legislatura.

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