Aeroporto di Bologna: “… se sei disabile tu con il tuo corpo sei un problema”.

“Passa il messaggio che se sei disabile tu con il tuo corpo sei un problema, un cliente di serie B a cui puoi dire qualunque cavolata senza conseguenze …”,

“Passa il messaggio che se sei disabile tu con il tuo corpo sei un problema, un cliente di serie B a cui puoi dire qualunque cavolata senza conseguenze …”, così Elena Paolini conclude il suo amaro post su facebook in cui racconta le disavventure (o, più correttamente, violazioni di diritti), che le hanno impedito di prendere il volo, insieme alla sorella Maria Chiara, che nello scorso fine settimana (15-16 giugno 2019), dall’aeroporto di Bologna avrebbe dovuto portarle in Irlanda per una Summer School sul tema “Legge e disabilità”. Di seguito la denuncia delle sorelle Paolini (le cui prese di posizione e lotte già in altre occasioni sono state segnalate nel “Rapporto sullo stato dei Diritti in Italia”).

“Questo weekend dall'aeroporto di Bologna non ci hanno fatto volare. Io e Chiara eravamo state selezionate per frequentare una Summer School di una settimana in Irlanda, il cui argomento era "legge e disabilità": ironico, no? In ogni caso, ce la stiamo perdendo. Non ci è ancora del tutto chiaro il perché ci abbiano negato l'imbarco due giorni di fila. Non ci è chiaro cosa abbia fatto emergere dei problemi così insormontabili, considerate tutte le volte che abbiamo volato. Quello che è chiaro è che le persone disabili non vengono trattate come veri clienti: ci si aspetta che ci genuflettiamo costantemente e che non abbiamo cognizione dei nostri diritti. Il primo giorno, sabato, al check-in ci hanno presentato tre motivi per cui non avremmo potuto volare, con tanto di dita alzate per indicare i numeri, numero uno, numero due, numero tre: le batterie delle carrozzine, la preoccupazione per quale posizione potevamo assumere sul sedile e il fatto che non avevamo mandato la documentazione in anticipo. Le batterie avevano ricevuto l'approvazione per volare (oltre che da vari voli precedenti) dalla compagnia aerea, informata per email. Eppure lì al check-in ci continuavano a dire che non andavano bene. Alla richiesta del perché, non sapevano rispondere e cambiavano argomento. Riguardo alla posizione in aereo, noi di solito viaggiamo stese, ma stavolta ci hanno detto che non era permesso. Però possiamo anche stare sedute durante il volo, anche se con molto meno comfort, ed eravamo pronte a farlo. Ma non ci hanno creduto, hanno chiesto un certificato medico che lo attestasse e noi glielo abbiamo fornito. Non gli andava ancora bene. Dovevamo contattare la compagnia per email e compilare un lungo modulo per farci dire da un medico in Germania se eravamo "idonee a volare". Ma a quel punto ci era finito il tempo. E per quanto riguarda la documentazione in anticipo, non ci hanno saputo dire chiaramente che cosa avremmo dovuto mandare. "Dovevate mandare la documentazione almeno 48 ore prima del volo, ora è tardi". Ho chiesto quale documentazione, visto che le informazioni richieste quando viaggi con una carrozzina elettrica erano state mandate al momento della prenotazione. "Eh, tutto il possibile", mi hanno risposto, rimanendo sul vago. Forse si aspettavano che essendo disabile ho necessariamente miliardi di documenti, o me li devo inventare? A ogni nostra risposta logica che smantellava i loro argomenti arrivava un'altra obiezione, a cascata, facevano a gara a chi la diceva più grossa: persino rimproveri sul fatto che le schede tecniche delle batterie (che noi abbiamo fatto vedere, ma che non erano obbligatorie) se mostrate dal cellulare non erano valide perché dovevano essere cartacee, o dubbi sulla nostra competenza linguistica in inglese. Quando ho detto a un responsabile: "questa è discriminazione", lui mi ha risposto: "eh no, eh no, non è vero, non chiamarla discriminazione, non è corretto che mi dici così, lo dici per attaccarti a qualcosa. Se dici così me ne posso anche andare". Sabato tutti davano la responsabilità alla compagnia aerea che, a quanto riferito, sentendo "la situazione" aveva impedito l'imbarco. Ma il giorno dopo, prenotato un altro volo con un’altra compagnia, è apparso chiaro che l'impedimento veniva (anche) dall'aeroporto. Altri operatori che il giorno prima erano stati gentili e normali, domenica erano prevenuti, evasivi e scostanti. Poi, un’impiegata mai vista prima a cui chiedevamo un'informazione che non c'entrava col viaggio si è lasciata sfuggire "Ah, ma voi siete quelle... ehm cioè che aspettate da tanto". Inoltre due hostess di passaggio hanno mostrato di conoscere quello che era successo il giorno prima: buffo e inquietante. Due voli persi, una notte in hotel, ore di attesa, la testa riempita di stronzate. Siamo state trattate con paternalismo e arroganza, come casi medici, patologizzate, guardate come bestie strane. Ci sono state lanciate motivazioni confuse e contraddittorie, mentre ci facevano pesare il fatto stesso che eravamo lì ("ho altri casi, ho poco tempo, non ci siete solo voi"). Passa il messaggio molto chiaro che se sei disabile tu con il tuo corpo sei un problema, un cliente di serie B a cui puoi dire qualunque cavolata senza conseguenze, con cui puoi giocare a fare i medici e i poliziotti. È questo il livello a cui si arriva con i clienti disabili”.

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