La Camera dei deputati ha approvato definitivamente, il 27 settembre 2017, un progetto di legge volto a modificare, tra l’altro, il Codice antimafia, prevedendo, in particolare, l’estensione delle misure di prevenzione personali e patrimoniali anche agli indiziati di reati contro la pubblica amministrazione. Nei confronti di questo provvedimento sono state avanzate, anche all’interno della stessa maggioranza di Governo, diverse perplessità, derivanti anzitutto dalla dubbia assimilazione del fenomeno corruttivo a quello del crimine organizzato (in particolare, ma non solo mafioso). Il primo, infatti, non presenta l’elemento della violenza e dell’intimidazione centrali invece nel fenomeno associativo, fondandosi piuttosto sul requisito del consenso illecito tra il detentore del potere e chi quel potere vorrebbe comprare. Ma soprattutto, la maggiore perplessità consiste nell’ulteriore estensione di una categoria (già ampia) di misure limitative di libertà e diritti – quali appunto le misure di prevenzione – sulla base di meri indizi e nei confronti di chi è attinto soltanto da sospetti di reità. Ciò rischia di comportare uno scivolamento dallo Stato di diritto allo “Stato di prevenzione” che finisce con lo snaturare i caratteri della nostra democrazia, attenuando sempre più l’importanza del principio della presunzione di innocenza e della irrogazione di misure limitative della libertà personale per soli fini processuali (custodia cautelare) ovvero nei confronti di quanti siano stati accertati come responsabili di reati. Inoltre, questa dilatazione dell’ambito applicativo delle misure di prevenzione estende in misura eccessiva il concetto (già ampio nel nostro ordinamento) di pericolosità sociale, in contrasto con le indicazioni della Corte europea dei diritti umani
Rapporto sullo stato dei diritti in Italia