di Gian Piero Robbi - La voce del Trentino
Ci sono delle barriere che sono ancora più difficili di quelle architettoniche. Sono i muri fatti di silenzio, paure e pregiudizi. Poi, ad aggravare delle situazioni già di per sé non facili, intervengono gli ostacoli architettonici e la carenza di servizi. Ecco allora che pensare di diventare mamme quando si è affette da una disabilità diventa un problema a volte troppo grande.
Molte donne si ritrovano così a dover combattere contro la loro stessa natura. Avere un figlio o anche di più ma essere consapevoli che non sarà di certo una passeggiata. Dai lettini irraggiungibili per ecografie e visite ginecologiche, ai gradini sempre troppo alti per passare poi agli stessi medici che spesso scoraggiano quel tanto naturale desiderio di maternità.
Nella sezione Disabilità del Corriere, a riguardo, si fa un’analisi approfondita sugli ostacoli che incontra una donna disabile che desidera diventare mamma, attraverso delle storie. Quella di Deborah, Giulia e Simona che raccontano le loro vite alla presa con quell’importante scelta. Secondo una ricerca diffusa da Susanna Usai, una laureanda in ostetricia dell’Università di Sassari, tra le paure più grandi di una mamma affetta da disabilità c’è quella di trasmettere la malattia al nascituro. Molte avrebbero voluto partorire spontaneamente e non con il cesareo e altre ancora speravano di avere un maggiore sostegno da parte dei sanitari. A riguardo, la ricercatrice ha deciso di dar vita e diffondere un questionario che le donne possono compilare in forma anonima per capire meglio quali sono le barriere fisiche e mentali che ancora s’imbattono sulle donne nel pre e nel post partum.
Di queste paure e dei tanti dubbi che affliggono le donne disabili è consapevole anche l’Aism, l’associazione italiana sclerosi multipla che da qualche anno ha attivato lo sportello “Tutto parla di te” in sostegno alle donne che scelgono di intraprendere questo emozionante ma impegnativo percorso. Alle mail rispondono delle donne che hanno affrontato la gravidanza e il parto con la sclerosi multipla.
Una di loro è Deborah Chillemi, cui la malattia è stata diagnosticata a 28 anni. Dopo lo sconforto iniziale, la giovane aveva capito di non potersi lasciare prendere dalla paura e di non voler rinunciare ad avere dei figli. Due anni dopo la diagnosi, lei e il marito hanno avuto il primo bambino. Ci sono state fasi in cui la malattia si è riacutizzata, con evidenti ricadute ma per Deborah qualunque sia la scelta, è importante che la malattia non costituisca una barriera mentale, un limite al proprio desiderio di maternità. La sclerosi multipla è una sfida che si combatte ogni giorno: personalmente ho deciso che io sto avanti e lei sta indietro, non le permetto di condizionare la mia vita“.
Altre due storie sono quelle di Simona Mazza e Giulia Aligheri. Simona ha scoperto di essere stata colpita dalla Sclerosi multipla dopo la nascita della seconda figlia. “Ero ancora autonoma quando ho avuto la prima bambina – racconta – . Poi sono iniziati i problemi: la malattia è imprevedibile e le ricadute si presentano all’improvviso. Sono rimasta completamente bloccata per un anno e mezzo, poi ho ripreso a camminare ma non guido più e non riesco a fare tutto come prima. Un giorno una delle mie figlie mi ha chiesto: ‘Mamma muori?’. Ho dovuto rassicurare entrambe, ma senza raccontare frottole“. Un esempio di come fare la mamma sia impegnativo ma non impossibile. “Se sei costretta ad andare in ospedale anche solo per una visita, qualcuno deve occuparsi dei tuoi figli. E allora c’è bisogno dell’aiuto di tutti: partner, genitori, amici“.
Ancora più complicata è la storia di Giulia e del marito, entrambi affetti da Sclerosi multipla. Insieme hanno deciso di dare alla luce il piccolo Andrea, che ora ha 14 mesi. “C’era il rischio che anche nostro figlio potesse ammalarsi, ma non ci siamo lasciati intimidire dalle percentuali e non ha vinto la paura: il desiderio di un figlio ti fa sentire più forte, soprattutto se hai accanto la persona giusta, che ami e condivide le tue scelte“.