di Stefano Anastasia
Con la formazione del governo giallo-verde cala definitivamente il sipario sulla riforma dell'ordinamento penitenziario maturata all'esito degli stati generali dell'esecuzione penale, l'ampia forma di partecipazione all'elaborazione della riforma del sistema penitenziario voluta dal Ministro Orlando. Per ragioni politiche e culturali, Lega e 5 Stelle sono stati i più acerrimi avversari del progetto di riforma sottoposto tardivamente dal governo uscente alle Camere, e dunque non se ne farà più nulla. Peccato, ma non è questo il peggio.
Il peggio è nei propositi del nuovo governo, vergati nero su bianco nel contratto sottoscritto da Di Maio e Salvini. La riscrittura della riforma dell'ordinamento penitenziario, a partire dalla "rivisitazione sistematica e organica di tutte le misure premiali" (in senso restrittivo, s'intende), arriva al termine del capitolo dedicato alla giustizia che si apre con la "difesa sempre legittima", senza più vincoli di proporzionalità con la minaccia subita, e passa per aumenti di pene, abbassamento della soglia di punibilità per i minorenni, abrogazione di ogni forma di depenalizzazione dei reati minori e di condizioni di non punibilità, come nei casi di particolare tenuità del fatto o di riparazione del danno: tutto il possibile contro gli autori di reato (veri o presunti), nulla per una maggiore sicurezza dei cittadini. Architrave di tutto ciò, ovviamente, è un bel piano di edilizia penitenziaria, "che preveda la realizzazione di nuove strutture e l'ampliamento e ammodernamento di quelle esistente", proprio come quello proposto dal Ministro della giustizia Angelino Alfano nel 2010 e che ci portò dritto dritto alla condanna della Corte europea dei diritti per trattamenti inumani e degradanti.
A complemento di questa distopia carceraria, il programma di governo contiene la promessa di nuove specifiche fattispecie di reato per i richiedenti asilo e la moltiplicazione dei centri di detenzione per stranieri, fino all'incubo di poter contenere tutti i 500mila migranti irregolari presenti nel nostro territorio per diciotto mesi in attesa dell'espulsione: praticamente i campi rom di cui si chiede la chiusura sarebbero decuplicati per i migranti irregolari.
Il tempo darà ragione dell'irrealizzabilità di gran parte di questi propositi, in modo particolare di quelli che richiedono ingenti investimenti di risorse umane e finanziarie, come la costruzione e l'apertura di nuove carceri. Resteranno, però, sul campo le bandiere simboliche, quelle norme penali e penitenziarie che –nella mente degli imprenditori politici della paura– distinguono i buoni (noi) dai cattivi (gli altri). E resteranno quanto più sarà difficile cambiare le politiche economiche e sociali: con lo spettacolo della punizione si cercherà di sedare le legittime aspettative di benessere di gran parte degli italiani. Si moltiplicherà, quindi, la sofferenza nelle carceri, nei centri per stranieri e, in fondo, in quelle stesse periferie urbane e sociali da cui i partiti della nuova maggioranza traggono il loro consenso, e da cui vengono quelli che popolano e popoleranno le patrie galere.
Alle istituzioni e alle amministrazioni pubbliche che condividono con il governo l'effettività e la garanzia dei diritti dei detenuti, al personale penitenziario, agli operatori del diritto, alle associazioni e ai volontari, la responsabilità di resistere alla controriforma e di alleviare la sofferenza che ne verrà alle vittime sacrificali di questo accordo politico di governo.